La polemica

Quei bambini di Padova travolti da norme e ideologie a misura di adulto

Bepi Martellotta

Come deve sentirsi un bimbo di sei anni che, dall’oggi al domani, non risulti più all’anagrafe perché porta il cognome della mamma (e non del papà) o, alla sua scuola, risultava col cognome della mamma «adottiva»?

Come deve sentirsi un bimbo di sei anni che, dall’oggi al domani, non risulti più all’anagrafe perché porta il cognome della mamma (e non del papà) o, alla sua scuola, risultava col cognome della mamma «adottiva», quella con cui la mamma «biologica» ha deciso di andare a vivere? E come deve sentirsi quella bimba di 4 anni, anche lei di Padova, che da quando era in fasce è stata cresciuta, abbracciata, allattata, pulita e messa a dormire da due mamme? Sì, da quelle due facce sorridenti che ogni sera le cantavano la ninna nanna per farla smettere di piangere o le leggevano le favole. Due facce sorridenti e amorevoli, con i capelli lunghi o corti, con le braccia senza peli (tipici degli uomini) ed entrambe con un seno. Come deve sentirsi oggi quella bimba resa «orfana» dall’ufficiale giudiziario di Padova, che ha consegnato alle due mamme la revoca della certificazione anagrafica? Avrà mai pensato in cuor suo che aveva bisogno di un «maschio» e di una «femmina» in casa per essere felice o era felice anche se a casa sua, nella sua vita quotidiana, c’erano quelle due facce femminili ad accudirla?

Ecco, forse doveva porsi queste domande la Procura di Padova prima di decidere quelle 33 revoche che ha notificato ad altrettante famiglie «arcobaleno». Domande difficili, alle quali né le norme, né il codice civile riescono spesso a dare risposte. Domande difficili se sei agnostico o cattolico, rosso o nero, italiano o australiano. Perché, diciamocelo, la società corre più veloce delle leggi e i giudici, bravi o meno capaci che siano, rincorrono i cambiamenti culturali e sociali come può fare la tartaruga con la lepre. Arrivano sempre dopo.

Quanto sta accadendo in Veneto, in queste ore, non dovrebbe indignare secondo i soliti schemi destra/sinistra a cui stiamo assistendo: Pd e alleati a dare addosso al governo «fascista» e «retrogrado», che prende spernacchi al Salone del libro perché difende la «famiglia», che secondo i suoi schemi è solo una e rigorosamente bisessuale. E, dall’altro, il centrodestra a difendere i «valori» di una volta, cattolici ed eterosessuali spernacchiando le manifestazioni Lgbt. Il fatto è che di fronte a questi accadimenti dovrebbero indignarsi tutti, indistintamente, pensando a quei piccoli padovani. E, magari, domandarsi perché le leggi, giuste o sbagliate che siano, vengono sempre fatte a misura di adulto, mai ad altezza di bimbo, che si tratti di divorzi o separazioni civili o che si tratta di certificati anagrafici e stati di famiglia. Quei bimbi, se potessero, avrebbero eccome da dire ciò che loro vogliono: l’amore che due genitori, a prescindere dal loro organo sessuale o dal loro «genere», riescono a dargli. Quell’amore che magari - non è dato saperlo - quelle coppie «arcobaleno» di Padova sono riusciti a dargli più di tante belle coppie «scoppiate» di genitori eterosessuali o di famiglie-cartolina finite in divorzio. Ecco, è proprio qui, su questo confine, che si ferma la legge e, sinora, si sono fermati i (maldestri) tentativi dei legislatori. Con un caos ideologico che lascia sgomenti.

Ad esempio, cosa c’entra la questione dell’«utero in affitto», nuovamente tirata in ballo, con una famiglia in cui c’è una mamma «biologica», cioè naturale, e una convivente dello stesso sesso? Ovvero, cosa c’entra il riconoscimento o meno di uno stato di famiglia ad una coppia omosessuale con la pratica internazionale di «comprare» da un’estranea la nascita del proprio figlio? E, ancora, perché stanno tutti a lamentarsi della denatalità in Italia se poi riuscire ad adottare un figlio per le coppie che non possono averlo (fermate dal ciclo biologico o dalla loro monosessualità, poco importa) è così difficile, tra pratiche estenuanti e viaggi della speranza negli orfanotrofi della Bielorussia o dell’Uganda?

Che dire, inoltre, del famigerato ddl Zan, naufragato nei corridoi del Parlamento? Va normata l’aggravante della violenza «di genere» contro gli omosessuali o, tra le aggravanti degli atti violenti, non esistono già i «futili motivi»? Ed è necessario scomodare codici penali o scatenare le solite bandiere in piazza, «arcobaleno» da un lato e «forum famiglie» dall’altro, per stabilire il valore del rispetto della «diversità» (di razza, religione, orientamento sessuale o meno) già sancito dalla Costituzione?

Ecco, le ideologie ci precipitano ogni giorno addosso, scavalcando le idee. E chi dovrebbe battersi per il «bene comune» passa il tempo a spingere pulsanti in Parlamento su dettatura del proprio capo politico. Nel frattempo - mentre i partiti giocano a fare i partiti e i giudici giudicano - la società cambia, diventa ogni giorno più complessa. Cambiano i diritti, cambiano i costumi, le mode, le abitudini e la quotidianità. Le istituzioni, invece, sono lì, ferme e immobili, ad osservare e decidere mentre qualche bambino di Padova si ritrova senza famiglia e si chiede, domani, con quale cognome potrà tornare a scuola e se in quella casa, quella dove è nato e cresciuto, ci sarà ancora - riconosciuta dal suo Comune - l’unica famiglia che ha conosciuto.

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