Il ricordo
Atlantista e amico della Russia, Berlusconi ha anche tutelato il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo
Silvio Berlusconi se ne va come avrebbe desiderato: da protagonista, lasciando davvero un segno indelebile nella storia italiana degli ultimi trent’anni
Silvio Berlusconi se ne va come avrebbe desiderato: da protagonista, lasciando davvero un segno indelebile nella storia italiana degli ultimi trent’anni. C’è chi lo ha amato, c’è chi lo ha odiato, nessuno è rimasto indifferente alla sua personalità fuori dal comune, eppure complessa, come capita sovente ai personaggi del suo calibro.
Chi era davvero Silvio Berlusconi? Solo i suoi amici intimi lo sanno davvero e forse solo gli storici riusciranno a tratteggiarlo con oggettività. Di certo verrà ricordato come colui che rompeva le regole e che sapeva anticipare i tempi, in qualunque ambito. Negli anni Settanta puntò sulle televisioni commerciali prima di chiunque altro riuscendo a creare un gruppi del calibro di Mediaset.
Negli anni Ottanta capì il valore trainante dello sport e divenne il presidente del Milan dei record. Negli anni Novanta fu il primo a intuire che la politica rispondeva a logiche completamente diverse rispetto al passato ovvero che la fedeltà al partito contava sempre meno e che a fare la differenza sarebbe stata la personalità del leader, dimostrando di persona la validità della sua intuizione. Creò in pochi mesi un partito dal nulla, conducendolo alla vittoria alla guida di una coalizione che i politologi ritenevano impossibile.
Che piacesse o no, Berlusconi era indubbiamente fuori dal comune, geniale a modo suo. Di certo unico, irripetibile, sorretto da un ego straordinario e debordante, come sappiamo, ma anche da quel pizzico di follia che caratterizzano i grandi personaggi della storia. Quando scese in politica, gli amici più saggi, a cominciare da Indro Montanelli, lo sconsigliarono: ti massacreranno, gli dissero . Ed ebbero ragione loro. Contro Berlusconi negli ultimi trent’anni si è alzato un fuoco di sbarramento di una potenza inaudita e come sempre in queste circostanze violentemente strumentale. Eppure il Cavaliere non ha mai avuto rimorsi, credeva nella sua personalissima Utopia, convinto, peraltro con buone ragioni, di aver fermato una sinistra ex comunista che a suo giudizio non meritava di governare pochi mesi dopo il crollo dell’Unione Sovietica. E sempre sorretto dalla convinzione di poter servire, a modo suo, il Paese.
Il miglior Berlusconi era paradossalmente quello che operava sulla scena internazionale e che riusciva a coniugare la fedeltà agli Stati Uniti con la capacità di coltivare una politica estera italiana, di tutela degli interessi nazionali. In un’epoca ben diversa da quella attuale, aveva stretto rapporti con la Russia e con la Libia di Gheddafi, che significavano approvvigionamenti di petrolio e gas; egli riusciva ad essere ardentemente filoisraeliano ma di coltivare al contempo rapporti privilegiati con la Turchia, con gli stessi palestinesi, con la Tunisia, l’Egitto, la Siria. Analogamente a Moro, Craxi, Andreotti aveva saputo rinverdire il ruolo naturale dell’Italia come perno geopolitico del Mediterraneo. E a Bruxelles era mal sopportato non solo per il suo stile disinvolto quanto per l’ardire di non accettare silenziosamente le regole non scritte dell’alta burocrazia europea. Il Berlusconi delle grandi intuizioni era quello che nel 2002 a Pratica di Mare fece firmare a Putin e a Bush la partnership strategica fra la Nato e Mosca, prodromo dell’entrata della Russia nel Patto atlantico ovvero di un progetto che, se non fosse stato abbandonato successivamente, avrebbe scongiurato non solo la guerra in Ucraina ma anche la sempre più evidente alleanza fra il Cremlino e la Cina.
Il Berlusconi in politica interna ha avuto molti alti, soprattutto in campagna elettorali, e molti bassi, per gli inevitabili attacchi dell’opposizione, per i tradimenti dei suoi alleati ma anche per i suoi difetti, che coincidevano con i suoi pregi. L’uomo era di straordinaria spregiudicatezza ma anche di incredibile ingenuità. Sapeva essere durissimo negli affari ma mai rancoroso né vendicativo con gli avversari.
Amava sedurre e non a caso esponeva incorniciato nel salotto della sua casa di Arcore, un trafiletto del «Corriere della Sera», che lo indicava come uno dei trenta uomini più affascinanti della Terra. Ma proprio questo bisogno di essere amato e di affascinare lo ha tradito. Con le donne, come sappiamo ma anche politicamente, perché il timore di essere impopolare è stato uno dei fattori che gli hanno impedito di realizzare le grandi riforme liberal-conservatrici in cui credeva davvero. E che lascia in eredità a un governo di centrodestra, il quale perde non più il leader travolgente di una volta ma il Vecchio Saggio capace di sopire le divisioni e creare consenso tra gli alleati. Un Vecchio Saggio che se ne va da par suo, come un visionario, come un combattente che solo la morte poteva fermare.