La querelle Fazio-Littizzetto

I bravi non piacciono e il belpaese alla fine rischia di farli estinguere

Gino Dato

La questione l’ha sollevata Fiorello in questi giorni con il suo guizzo satirico a proposito della questione Fazio, proclamando le sue «paure»

I bravi non piacciono. Perché non ammetterlo? Sono una mina vagante, un attentato alla voglia di mediocrità che impera e dilaga. Invece di talenti, servono mezze figure, quell’aura stantia che ci fa navigare tranquilli e sereni nei pantani, nei porti delle nebbie, braccia corte e occhi di talpa.

La questione l’ha sollevata Fiorello in questi giorni con il suo guizzo satirico a proposito della questione Fazio, proclamando le sue «paure»: «Ragazzi, io non voglio essere epurato, occhio a quello che dite. Già immagino la riunione dei vertici Rai: C'è uno bravo, che facciamo? Cacciamolo via. C'è uno che fa guadagnare la Rai, via... Siate meno bravi e soprattutto non dite cose sconvenienti, perché io voglio rimanere qua in Rai».

Allora, attenti ai bravi e bando all’eccellenza dei talenti che possono aggravare le diseguaglianze? Abbiamo dovuto superare un primo momento di smarrimento, nel quale ci siamo detti: ma, in fondo, nel sacrificio di Fazio che cosa è cambiato rispetto al solito andazzo dello spoil system come pratica insindacabile dei politici? Nulla. L’epurazione e la turnazione delle posizioni apicali le praticano tutti i partiti quando approdano al potere, quindi lo ha somministrato anche il centrodestra. Si libera di personaggi che non sono «consustanziali» al suo modo di governare e li sostituisce.

Poi, pensando e ripensando, ci siamo accorti che la vicenda, è una sconfitta per tutti noi, una ferita profonda. Per diverse ragioni che esulano anche dai soliti giochi di egemonia.

La prima, la epurazione investe un personaggio e una struttura importanti del sistema informativo e, quindi, è un attentato alla mia, alla nostra libertà di espressione, in un contesto internazionale nel quale la stampa e la funzione dei media sono sotto attacco. Non dimentichiamo: «Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere», recita un celebre motto di Evelyn Beatrice Hall, erroneamente attribuito a Voltaire, e che indica quanto la garanzia per i diritti dell'altro tuteli anche i miei.

La seconda ragione, più sottile: la carriera del personaggio Fazio ci induce a riflettere su questa perversa tendenza degli italiani a considerare impopolari e noiosi i bravi e i talentuosi. Sotto sotto, detestiamo le forme di successo, salvo poi mitizzarle nelle narrazioni di vita quotidiana. Non è così?

E qui disegniamo un quadro di idiosincrasie tutte italiane. Per quanto siamo un paese di navigatori e inventori, imperversa una diffidenza per scelte e stili di vita che siano guidati dalla stella polare dell’eccellenza e del merito. Sembra quasi che tutti si guazzi bene nella mediocrità, che la notte grigia dia più sicurezze.

È in fondo una eredità del ’68 l’abbattimento delle filosofie del merito e il dilagare del trenta proletario e democratico, l’avvento di una presunta cultura popolare che fustigava gli elitismi e provava a redistribuire le potenzialità alla ricerca del successo. A più di mezzo secolo da quelle albe coraggiose, ci ritroviamo a un bivio di civiltà, segnati da una sorta di inaridimento.

Il paesaggio fisico e morale che viviamo è, in una sorprendente metafora, come la devastante siccità che rappresenta sugli schermi il nuovo film di Paolo Virzì, dal titolo omonimo. Una pellicola che, nei colori della scenografia, i gialli ocra, nei gesti smarriti dei protagonisti, narra di una Roma in cui non piove più da anni e in cui ciascuno affonda nell’egoismo e nella miseria.

Che sia questa distopia il futuro che ci attende? Speriamo che torni a piovere e che i bravi non si estinguano.

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