L'analisi
Sulla parità di genere l’Italia è indietro: l’educazione inizi in casa
La questione anzi, se possibile va peggiorando. Perché essere una donna in Italia, e volerlo essere liberamente, a voce alta, a testa alta, con il morale alto, oggi, nel 2023, comporta l’imbattersi nei luoghi comuni i più protervi
Dopo dodici trascorsi in Francia, due anni fa sono rientrata a vivere in Italia. Ricordo di avere scritto un post su Facebook poco prima di intraprendere la strada del ritorno. Scrivevo sui social di più, credevo in una conversazione collettiva condivisa che adesso sempre meno mi attira e mi convince.
Scrissi il post dicendo che la sola cosa che davvero mi preoccupava del mio ritorno era che avrei ritrovato, in Italia, un mondo più arretrato dal punto di vista della parità di genere. Un clima fondamentalmente maschilista, quello temevo, arroccato su schemi astrusi, trincerato su certezze incartapecorite e finite. Mote reazioni, molti preallarmi , «preparati, sarà dura».
A posteriori, come dare torto a quel mio nitido presagio? A due anni di distanza, posso dire che paventavo il vero: l’Italia è indietro, su questo come su altri temi, ma sul tema delle donne, della loro assoluta uguaglianza agli uomini, indietro in modo flagrante. La questione anzi, se possibile va peggiorando. Perché essere una donna in Italia, e volerlo essere liberamente, a voce alta, a testa alta, con il morale alto, oggi, nel 2023, comporta l’imbattersi nei luoghi comuni i più protervi. Il luogo comune per cui le donne «forti» (che vuol dire, semplicemente, consapevoli della loro grazia e delle loro capacità) sono anche molto sole nel momento in cui scelgono di vivere appieno la loro forza autodeterminandosi a riuscire nella vita professionale. O il luogo comune per cui, nel momento in cui intende coniugare vita famigliare e vita lavorativa («e quante ne vuoi, però!»: pare di sentirla, la vocetta scandalizzata del mondo intorno), è giocoforza che la stessa donna debba operare delle scelte, stabilire delle priorità, sacrificare comunque qualcosa, sia una parte di sé, o sia piuttosto una delle due sfere, quella del suo agire o quella del suo essere. O ancora, il luogo comune per cui una donna senza figli da qualche parte ha un problema; o quello per cui se non hai più un marito, o non lo hai mai avuto, di sicuro sei tu che hai fatto andare «male» la tua vita, perché non hai saputo «reggere», perché non hai saputo amare, non hai dato abbastanza, non hai fatto abbastanza, non ti sei spesa e sacrificata abbastanza. O la convinzione per cui un uomo, dopo un po’ di anni di unione, che abbia un’amante, o più amanti, insomma una o più relazioni fuori dalla famiglia, è normale, mentre se succede a una donna è uno scandalo. O il pregiudizio per cui se riesci molto bene nel lavoro, e sei bella, la natura è stata generosa con te e sei bella, di certo a quella riuscita professionale sei arrivata usando la tua bellezza, elargendo i doni naturali del tuo fascino e in cambio ricevendo favori.
E così discorrendo; quelli appena elencati sono solo punta di iceberg di un maschilismo diffuso, capillare, i cui protervamente antiquati ma inscalfibili capisaldi stanno incistati nella mente dei più, uomini, ma troppo spesso anche donne. Sotto, nel mare che impetuoso scorre attorno alle punte di iceberg della retorica comune, fluttua (e non annega) anche altro clima, più ostile ancora. Clima di misoginia diffusa, capillare, una protervia antica, capace di assumere forme di aggressività anche devastanti, quella forza orribile e dissennata che si scatena nella mente degli uomini autori dei femminicidi di cui tutti i giorni - o quasi - leggiamo sui giornali.
Figuriamoci, non che in Francia, dove prima abitavo, i femminicidi non esistano. Ma è la condizione delle donne in genere a essere diversa, a cominciare dal welfare e a proseguire con un modo di considerarle (considerarci) più quieto, un po’ più maturo, rispettoso, forse un tantino meno competitivo nei nostri riguardi. Nostri, di noi donne.
Possibile rimediare a tanta arretratezza italiana? Come sempre per i valori fondamentali, l’educazione alla parità dovrebbe incominciare in casa, in famiglia. Di educare i maschi dovrebbero occuparsi le madri - e i padri anche, certo, ma le madri di più. Da donne, insegnare ai figli a considerare il femminile con rispetto e profonda gentilezza. Il femminile fuori di sé, il femminile dentro di sé. Perché («ma come, non sia mai» pare di sentire la vocetta) femminile è in tutti. Sacro, antico, maltrattato, meraviglioso.