La riflessione
Il pasticcio delle accise e le imposte non progressive che ci danneggiano
Al centro delle polemiche il costo della benzina e il nuovo decreto. Al Sud, poi, la disparità tra chi ha redditi elevati e chi stringe la cinghia diventa ancora più eclatante
Per il tredicesimo giorno consecutivo sulla prima pagina della Gazzetta c’è un titolo sul rincaro dei carburanti. C’è non perché il vostro giornale è diventato il portavoce dell’opposizione al governo Meloni, non per gli effetti di un virus propagandistico ma molto più semplicemente perché la fine dello sconto sulle accise introdotto dal governo Draghi e non rinnovato dall’esecutivo in carica, ha fatto schizzare in alto i prezzi di benzina e diesel, aggravando il costo di ogni pieno di circa 8-10 euro. Un fatto oggettivo, eppure al centro di analisi diverse e contrapposte.
Carlo Cottarelli, economista e senatore Pd, si dice favorevole alla scelta del Governo di non tagliare le accise sui carburanti perché «in un momento come questo, in cui le disponibilità economiche non sono molte, i sussidi vanno dati solo a chi ne ha davvero bisogno. La detassazione della benzina e del gasolio sarebbe un sussidio dato a tutti, anche a chi va a fare benzina in Ferrari. Dobbiamo privilegiare chi vive un momento di difficoltà. Perciò credo che questa non sia una misura sbagliata». Sintonizzato sulle stesse frequenze il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin secondo il quale «è stata fatta una scelta puntuale, settoriale e non generalizzata, per favorire di più le famiglie e le imprese in difficoltà».
Ma è davvero così? I dubbi non mancano. La maggioranza dei Paesi europei fonda il proprio sistema di tassazione del reddito delle persone fisiche sul principio di progressività che in Italia trova realizzazione nella Costituzione. L’articolo 53 recita: «Il sistema tributario è informato a criteri di progressività». Un’imposta viene definita progressiva quando l’aliquota media aumenta all’aumentare della base imponibile ossia quando l’aliquota marginale è maggiore dell’aliquota media. Nel caso dei carburanti, gravati dal peso formidabile delle accise (che con l’Iva vale circa il 50% del prezzo di un litro di benzina o diesel), l’invocata, e costituzionalmente tutelata, progressività va a farsi benedire.
Facciamo un esempio per capire meglio. Mettiamo il caso che esistano due imprenditori, li chiamiamo Roberto e Nicola per comodità. Roberto e Nicola hanno due business diversi che generano redditi dal peso economico diverso. Il primo ha un’azienda molto strutturata che gli genera un reddito netto di 15.000 euro al mese; il secondo, più giovane e con un’attività meno remunerativa, guadagna invece 5.000 euro netti al mese. Sono comunque entrambi benestanti e si godono la vita. Ma vediamo cosa accade quando vanno dal benzinaio a fare carburante. Roberto guadagna 15.000 euro al mese, fa un pieno di 40 litri di benzina: paga 80 euro di carburante (di cui 40 euro di iva e accise). Nicola guadagna 5.000 euro al mese, fa un pieno di 40 litri di benzina: paga 80 euro di carburante (di cui 40 euro di imposte).
Nel momento in cui Roberto e Nicola, che hanno redditi così diversi, pagano la stessa quantità di imposte, siamo sicuri che venga rispettato il principio di progressività rispetto alla propria capacità contributiva, così come previsto dalla costituzione? Nicola che ha un reddito di 1/3 inferiore rispetto a quello di Roberto paga, facendo rifornimento, le stesse imposte pagate da Roberto.
Cosa che non rispetta il principio di progressività, ma quello di regressività e che dimostra che le persone con redditi elevati spendono, in media, una quota più bassa di reddito rispetto a quelle con redditi più bassi. Di conseguenza, un’imposta di ammontare uguale sui consumi – proprio come le accise sui carburanti - tende ad essere regressiva sul reddito dei consumatori, ossia colpisce in misura maggiore i redditi più bassi. Le imposte indirette hanno costituito e ancora costituiscono una parte preponderante delle entrate dello Stato in quasi tutti i paesi del mondo e la causa è da ascrivere alla semplicità delle forme di riscossione, cioè ai bassi costi, per lo Stato: si va al distributore, si fa rifornimento, si paga e lo Stato incassa. Senza il fastidio di dover fare dichiarazioni, accertamenti, emettere cartelle, eccetera eccetera. Un bancomat al contrario.
Al Sud, poi, la disparità tra chi ha redditi elevati e tra chi invece stringe la cinghia diventa ancora più eclatante perché molte volte l’utilizzo dell’auto privata diventa praticamente un obbligo a fronte di servizi di trasporto pubblico inefficiente e inefficace nelle città e tra le città.
Morale: prima di discettare sul peso che le accise hanno sui proprietari delle Ferrari, sarebbe meglio per politici e economisti farsi un giro per le stazioni di servizio e vedere che auto e reddito hanno quelli che imprecano davanti ai prezzi dei carburanti.