Calcio

Qatar, Mondiale al via ma resta il velo dell’ipocrisia

Lorenzo D'Alò

Perché non esiste un calcio «buono» o «cattivo» per definizione. Esiste il calcio per quello che è: forza primordiale, bellezza selvaggia, palio emotivo

«Lasciamo che il calcio si prenda la scena», dicono alla Fifa, cercando con una finta di smarcarsi dall’imbarazzo dilagante. Ed è esattamente quello che accadrà oggi. Perché arrivano le partite, unguento salvifico per qualsiasi tipo di ferita, comprese quelle più profonde (si gioca in autunno inoltrato, finale a ridosso dell’inverno: spostato il tempo classico dei Mondiali, mai successo prima) e infette (si gioca in un Paese in cui molti diritti civili non sono riconosciuti, in alcuni casi addirittura negati, e dove si considera l’omosessualità un danno mentale). Benvenuti in Qatar, lussuosa quanto improbabile sede del Campionato del Mondo 2022 di calcio. L’assegnazione, carica di sospetti e misteri, nonché disseminata di bonifici a conti cifrati, è del 2010, quando sul calcio regnava Joseph Blatter. Attesa al culmine, ci siamo. Finalmente si gioca, si potrebbe aggiungere con un velo d’ipocrisia. A parlare sarà solo il campo. E come per incanto, nulla sembrerà fuori posto. Tutto apparirà artatamente a norma e, dunque, accettabile, finanche nelle sue forme ed espressioni più astruse. Le partite fanno miracoli. Il pallone che rotola ristabilirà l’ordine naturale delle cose. L’assenza dell’Italia, che salta il suo secondo Mondiale di fila, si noterà appena. Del buco generazionale e dei ragazzini privati delle emozioni di un Mondiale tinto d’azzurro, si smetterà di discernere perché importerà a pochi. Il calcio è l’infanzia del mondo? Solo uno slogan, che per un mese può rimanere a prendere polvere in soffitta.

Su il sipario, ci sono le partite. Si parte con Qatar-Ecuador, capirai. E il calcio, come fa sapere la Fifa, impegnata in un’imponente operazione di distrazione di massa, si prenderà la scena. Occupandola per intero. E impedendo di volgere lo sguardo (e i pensieri) altrove. Per esempio, sui tanti operai morti sul lavoro mentre costruivano stadi che sembrano astronavi atterrate direttamente dal futuro. Manovalanza ammazzata dal caldo torrido e da turni massacranti. Per esempio, sulla speranza già sfiorita di favorire il «cambiamento» in un Paese che avrebbe dovuto cogliere l’occasione dei Mondiali per dare di sé un’immagine diversa. E che, invece, li utilizzerà per mostrare solo la sua opulenza, nel tentativo di accreditarsi agli occhi del mondo per ciò che ancora non è. E forse non sarà mai. Un Paese con una ricchezza senza pari con la quale potersi togliere qualsiasi sfizio. Ma se il calcio, come ha ricordato Gianni Infantino, presidente della Fifa, ha il potere straordinario di condizionare l’umore e lo stato d’animo di quasi 4 miliardi di persone, orientando scelte e spostando consensi, allora bisogna stare molto attenti all’uso che se ne fa. Perché non esiste un calcio «buono» o «cattivo» per definizione. Esiste il calcio per quello che è: forza primordiale, bellezza selvaggia, palio emotivo. Calcio per il quale vale ancora la pena palpitare. E guardare le partite. Anche in Qatar, senza l’Italia e all’ombra di interessi miliardari e baratti inconfessabili sottesi come una tela di ragno nel deserto.

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