Lo scenario
Indotto ex Ilva, l'incubo si ripropone per operai e imprese
Il provvedimento voluto dall’amministratore delegato Lucia Morselli ha comportato la messa in discussione dell’occupazione per i circa 2000 operai impiegati dalle imprese in questione e della sopravvivenza stessa delle aziende che finora hanno di fatto finanziato con i loro crediti non riscossi l’attività della fabbrica
Il film è stato già visto. E l’episodio numero due, per ora solo una ipotesi tra le tante sul campo, genera incubi ancor prima della visione. Sbattute fuori dall’acciaieria più grande d’Europa con un preavviso di poche ore e con forniture non pagate per oltre 100 milioni di euro, le imprese dell’indotto dell’ex Ilva vivono ore di grande apprensione.
Oggi il ministro Urso, delegato alle imprese e al made in Italy del governo Meloni, incontrerà sindacati, amministratori e Confindustria per discutere della crisi dell’ex Ilva di Taranto esplosa nello scorso fine settimana con la decisione di Acciaierie d’Italia, affittuaria del complesso siderurgico, di revocare le commesse a 145 ditte dell’appalto.
Il provvedimento voluto dall’amministratore delegato Lucia Morselli ha comportato la messa in discussione dell’occupazione per i circa 2000 operai impiegati dalle imprese in questione e della sopravvivenza stessa delle aziende che finora hanno di fatto finanziato con i loro crediti non riscossi l’attività della fabbrica, svolgendo lavorazioni in moltissimi casi essenziali per la sicurezza degli operai addetti ai vari reparti e la prosecuzione della produzione.
Nel dicembre del 2014, tra Natale e Capodanno, gli allora commissari dell’Ilva chiesero l’ammissione all’amministrazione straordinaria che fu concessa il 21 gennaio del 2015. Questo significò il congelamento - e di fatto a tutt’oggi il mancato pagamento – di tutti i fornitori a partire proprio dalle ditte dell’indotto che videro sfumare oltre 150 milioni di fatture già emesse, soldi entrati a far parte della massa passiva da oltre 2 miliardi di euro dell’Ilva. Soldi persi del tutto, nei fatti, con molte aziende che non si sono più riprese dalla batosta o che hanno ricominciato a lavorare con grandi difficoltà di liquidità e di accesso al credito, conquistando passo dopo passo un diritto alla sopravvivenza ora messo a rischio.
Otto anni dopo la situazione pare riproporsi per via delle ipotesi in campo in queste ore, una delle quali prevede la rescissione del contratto di fitto che lega Ilva in amministrazione straordinaria ad Acciaierie d’Italia con il ritorno diretto alla gestione statale ed un futuro incerto per Acciaierie d’Italia che a quel punto potrebbe essere messa in liquidazione, con tanti saluti a chi avanza soldi a fronte di lavori fatti su esplicita richiesta del committente. Una ipotesi che terrorizza i titolari e i dipendenti delle imprese dell’indotto che si ritroverebbero davanti il fantasma di fine 2014 inizi 2015, col rischio di perdere crediti e lavoro.
Cosa si può fare? Evitare di affrontare il dossier ex Ilva in maniera ideologica – pur essendo ormai spariti del tutto quelli che volevano fare dell’acciaieria di Taranto un parco giochi o per altri versi una Bagnoli 2 – e invece scegliere un approccio realistico che per una volta contemperi le ragioni di tutti.
ArcelorMittal nel 2018 si presentò a Taranto con le migliori intenzioni, salvo preparare il ritiro tra giugno e luglio dell’anno successivo, quando i manager della multinazionale si trovarono da un lato con la crisi congiunturale del mercato dell’acciaio e dall’altro con l’impossibilità di raggiungere i target produttivi fissati per l’ex Ilva a causa di una situazione impiantistica peggiore di quella che si aspettavano. Poi è passata la vulgata che si siano ritirati – quando poi sono tuttora saldamente maggioranza di Acciaierie d’Italia – per l’abrogazione dell’immunità penale e la paura di finire sotto processo ma in realtà da quell’abrogazione in poi, malgrado molti sospetti e tante denunce, nessuno sia finito sotto inchiesta né tantomeno a giudizio. Chiacchiere, insomma, alle quali contrapporre per una volta la tutela del lavoro, futuro ma anche già svolto, e la tutela della salute. La storia italiana dell’acciaio può partire solo da qui, il resto sono alchimie giuridico societarie buone per le consulenze degli studi legali di affari e non per una città e un tessuto imprenditoriale ormai allo stremo.