Il commento
Ida Cuffaro diventa giudice, speriamo che il frutto cada lontano dall’albero
Parafrasando un luogo comune, ora l’auspicio è quello «che il frutto possa cadere ben lontano dall’albero che lo ha generato». E, nel commentare, l’ingresso in magistratura di Ida Cuffaro, figlia di Totò ex presidente della Regione Sicilia, finito in carcere per favoreggiamento alla mafia, non abbiamo motivo per dubitarne, anche se il neo magistrato, nella votazione finale del concorso, ha riportato appena due punti (24 agli scritti e 72 agli orali) in più del minimo. Un punteggio, ben lontano dal 110, lode e menzione, con il quale si era laureata in Giurisprudenza all’Università di Palermo. Un cursus honorum, di tutto rispetto, visto che la ragazza, dopo essersi abilitata alla professione di avvocato, aveva vinto anche un dottorato di ricerca, presso lo stesso ateneo, con una tesi su «pratiche commerciali scorrette e rimedi contrattuali».
Certo, e non si ha motivo di dubitarne, ora la sua carriera la porta su barricate opposte a quelle che usava frequentare il suo genitore, anche se quest’ultimo, dopo aver scontato la sua pena ed essere ritornato in politica, non ha perso occasione per ribadire di aver imboccato la via della legalità, dicendosi fortemente pentito dei suoi trascorsi poco limpidi.
Certo sono lontani i tempi, quando bastava avere un parente, anche di terzo grado, che aveva una qualche pendenza con la giustizia, per vedersi sbarrata qualunque strada verso una qualsiasi carriera nelle forze dell’ordine. Figurarsi in Magistratura… E, tuttavia, avere in famiglia un magistrato, dopo che questi ultimi, i giudici, erano stati considerati per anni gli avversari da contrastare, se non proprio da combattere, un qualche imbarazzo deve averlo creato all’ex Presidente della Regione Sicilia.
Come non deve essere stato semplice per la dottoressa Cuffaro, fare una simile scelta, consapevole che, comunque, sarebbe stata sempre vista come la figlia di un politico che si intratteneva con i mafiosi, scegliendo a sua volta, una professione, quella dei magistrati, che dalla mafia sono stati più e più volte, colpiti a morte, screditati e politicamente attaccati per isolarli e colpirli più agevolmente.
È anche vero che le colpe dei genitori non debbono ricadere sui figli e che a questi ultimi deve essere data la possibilità di seguire la propria strada, anche se quest’ultima collide violentemente con l’operato illegale dei propri parenti. Siamo anche certi che i commissari che hanno esaminato il neo magistrato, queste perplessità le hanno avuto, finendo, tuttavia, per premiare il merito e la volontà, espressa con la stessa decisione di accedere ai ranghi della giustizia, di essere pronta a fare, sempre, comunque, e per intero, il proprio dovere, anche in contrasto con l’ambiente nel quale si è cresciuti.
Del resto, la dottoressa Cuffaro, già prima del concorso in Magistratura, aveva scelto la via della ricerca accademica, rifuggendo da una professione, quella di avvocato, che, per forza di cose, l’avrebbe portata a difendere (come è giusto che sia) anche qualche malavitoso, perpetuando, così, l’equivoco di quel frutto che non può che cadere vicino all’albero. Nella sua scelta, inoltre, ci deve essere stata sottesa l’ammirazione per chi rischiava la propria vita per difendere i diritti dei cittadini, combattendo in prima linea una potentissima organizzazione malavitosa, i cui tentacoli si era resa conto erano riusciti ad infiltrarsi persino in casa propria. Una decisione ponderata, e per ciò stesso, degna di fiducia. Quasi come simbolo che nella guerra alla Mafia, l’esercito dei suoi nemici può annoverare anche chi si credeva per lo meno neutrale, se non proprio colluso.
Forse quel grido singhiozzato ai mafiosi di pentirsi, della vedova Schifani, dopo la strage del giudice Falcone e della sua scorta, deve aver aperto i cuori a quanti più siciliani si è fin qui creduto. Sarebbe auspicabile, che in un futuro processo di Mafia, magari alla primula rossa, Matteo Messina Denaro, fosse proprio il giudice togato, Ida Cuffaro, a comminargli la pena più severa.