La riflessione
«Giullare politico?» No, il rettore è anche un cittadino
«Chi emula i giullari della tradizione medievale fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati»: così l'Accademia di Svezia del 9 ottobre 1997 quando Dario Fo fu insignito del Premio Nobel per la letteratura
Sono alcuni giorni che penso a come ringraziare coloro che hanno dedicato la loro attenzione ad un mio intervento per commentare i dati elettorali fatto in una assemblea di una associazione. Un titolista buontempone l’aveva definita, nobilitando le mie parole, arringa.
Una prima considerazione la devo rivolgere a coloro che hanno espresso nostalgia per i tempi passati. Sentimento nobile che il neo senatore di Fratelli d’Italia, Marcello Gemmato (a lui i miei auguri), ha espresso ricordando un illustre Rettore, professore Aldo Cossu, esponente del Partito Comunista Italiano. A che data sia ancorata la sua nostalgia mi sfugge, però posso far mio lo stesso sentimento: anche io sono spesso catturato da una profonda nostalgia.
Ho un bel ricordo, ad esempio, di quando, poco più di quindici anni fa, insieme con il confermato onorevole leghista, Rossano Sasso (auguri anche a lui), organizzammo un ciclo di trasmissione televisive con gli studenti di Uniba. Anni complessi e entusiasmanti: comprendo che l’esercizio alla frequenza universitaria abbia fatto virare la risposta del garbato Onorevole per una saggia valorizzazione della qualità della docenza. Immagino che anche lui condivida quanto l’unico giudizio affidabile sull’attività di un docente debba essere affidato agli studenti. Agli studenti che alcuni chiamano giovani e che con più precisione e rispetto, a me piace definire cittadini, affido l’ardua sentenza.
Una seconda considerazione la rivolgo invece a colei che, elogiando il suo datore di lavoro il Rettore del Politecnico, professore Francesco Cupertino, a cui vanno i segni della mia stima e ammirazione, oltre che amicizia, per l’attività svolta, mi appella con grande generosità d’animo un giullare politico. Per fortuna qualcuno mi loda. Non sfugge al lettore, anche al più distratto che «chi emula i giullari della tradizione medievale fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati» come si legge nel comunicato stampa della Accademia di Svezia del 9 ottobre 1997 quando Dario Fo fu insignito del Premio Nobel per la letteratura. Non sono certo in brutta compagnia. Che tutti abbiamo letto Mistero Buffo non lo so, ma che l’appellativo di giullare politico sia un elogio è certificato. Il giullare, infatti, era ed è un libero pensatore che, facendo sorridere, schernisce e irride il potere. Nelle forme della contemporaneità ogni tanto fa anche selfie, ma questa è un’altra storia. Prima di giungere, infatti, ai nostri tempi ci sono state varie evoluzioni. Nel Rinascimento inglese, in sembianze simili e non uguali al giullare, emerse un personaggio dal nome intraducibile nella lingua italiana: Fool. In gran parte delle opere di Shakespeare, infatti, i migliori attori si sono susseguiti nelle vesti del Fool, cioè di colui che, essendo a Corte per concessione e non per diritto, poteva far emergere senza alcuna censura la verità sulle contraddizioni del potere, cioè sui cortigiani e sulle cortigiane. Memorabile è il Fool del King Lear che in battute con venature nostalgiche irride la presunzione del potere.
Indicare quanto sia fin troppo piena di lodi l’attenzione rivolta ad un mio intervento di cinque minuti è certamente inutile ribadirlo. Nei nostri hard times essere ritratto, però, come un libero cittadino, irriverente verso il potere e ogni tanto contagiato dalla nostalgia, lo considero un magnifico complimento. Grazie dunque.
Una nota, temo, marginale: i distributori di «lodi» nei miei confronti non sanno cosa abbia detto nell’assemblea essendo assenti all’incontro. Non lo sa neanche la firmataria degli articoli che ha raccolto le «elogiative» parole rivolte nei miei confronti senza mai interloquire con me. Dopotutto per taluni è assolutamente superfluo ascoltare le ragioni degli altri. Non ne facciamo, però, un dramma. Non essere presenti è un peccato veniale, non certo una colpa grave, ci mancherebbe, ed è anche irrilevante sindacare sull’operato degli altri. È inquietante invece parlare senza conoscere il significato delle parole che si usano. Non è mai troppo tardi!