Il punto
Le vite «spacciate» del ragazzo di mala e dei giovani bene
Tra i pusher c’era la figlia di un agente della polizia penitenziaria e anche due bariste che un bel giorno si scoprono molto più brave a tagliare le dosi di cocaina piuttosto che a preparare un caffè
Questa è la storia di due fallimenti. Quello di un ragazzino che non è riuscito (o non ha voluto) smarcarsi dal suo passato. Sin qui, in fondo, una vicenda comune a tante altre. E poi un’altra rovinosa caduta, quella che fa ovviamente un po’ più rumore, anche se non si tratta certo della prima volta: giovani insospettabili ammaliati dal malaffare, con lo sguardo all’insù verso pianeti distante anni luce da loro. Una linea sottile, infatti, univa ragazzi «perbene» e Davide Monti. Il minimo comune denominatore si chiamava droga. Sì, insomma, loro la spacciavano, lui, l’ex «bambino con la pistola», gestiva il traffico. L’inchiesta condotta dall’Antimafia di Bari sfociata negli arresti di ieri (ne riferiamo in altre pagine del giornale) ha svelato un aspetto che va oltre la vicenda giudiziaria. Dei 44 indagati oltre la metà erano (e sono) incensurati. Tra i pusher c’era la figlia di un agente della polizia penitenziaria e anche due bariste che un bel giorno si scoprono molto più brave a tagliare le dosi di cocaina piuttosto che a preparare un caffè. C’è persino, un altro insospettabile che varcata la soglia di mezzo, si scopre talmente bravo da meritarsi una «promozione»: gestire una piccola piazza di spaccio nel Sud Est Barese.
E allora viene da chiedersi cosa c’è dietro questo sconfinamento: Fragilità? Debolezza? Cosa può giustificare, o meglio, spiegare un cambio di rotta così radicale tanto da virare bruscamente da percorsi virtuosi, imboccando strade talmente lontane dal proprio contesto d’origine? Un’ordinanza di custodia cautelare, oggi, non può certo dare una risposta. Un giudice verifica se ci sono esigenze cautelari e indizi di colpevolezza. Eppure da quelle stesse pagine in controluce si intravede un altro fallimento, quello di un percorso inverso che non è andato a buon fine. Quello dello stesso Davide Monti, cresciuto tra i vicoli di Bari Vecchia in età adulta abbandonati, direzione Japigia. L’ex «bambino con la pistola» chiamato così perché i più grandi gli affidavano armi da custodire si è fatto uomo. A quel tempo era «Daviduccio». Figlio di Domenico Monti, «Mimmo il Biondo», uomo di fiducia del boss Antonio Capriati, Monti jr ma formalmente non è affiliato ad alcun clan. I procedimenti (e le condanne) a suo carico non si contano. Quella più grave, sia pure non definitiva, inflitta in primo grado, è per omicidio eseguito per «acquisire nel territorio un incontrastato controllo criminale», quello di Japigia. E pensare che la sua poteva essere una bella pagina di redenzione. L’allora sindaco Michele Emiliano in un certo senso lo adottò, sì insomma si interessò di lui con l’obiettivo di provare a sottrarlo al suo destino. Chi meglio di un pm antimafia sa quanto è importante intervenire sin da piccoli per provare a concimare un terreno dove fare crescere un albero sano, capace di potere dare buoni frutti. Nulla da fare.
Eppure lo Stato aveva tentato di dargli una seconda, una terza, una quarta possibilità. Ancora bambino il Tribunale per i Minori lo aveva affidato a una comunità di accoglienza di Pistoia, in Toscana gestito da suore. Prendeva voti dignitosi a scuola, era bravo a giocare a pallone. Nei mesi seguenti, la madre presentò invano una serie di ricorsi per farsi riaffidare il ragazzino. Davide scappò dalla prima comunità toscana, per essere affidato di volta in volta ad altri istituti, in Puglia. Fuggì puntualmente per tornare a Bari Vecchia. Poi la svolta, addio vicoli, benvenuta Japigia dove stando al racconto dei pentiti si è fatto uomo. Adesso, si scopre, reclutando pure «insospettabili», gente «perbene».