Fronti bellici

I traumi della memoria: quei bambini e le immagini di guerra nella mente

Gino Dato

Che cosa saranno in grado di ricordare questi bambini? Quali immagini sono rimaste impresse indelebilmente nei loro occhi e nelle loro menti?

Circa 4,8 dei 7,5 milioni di bambini ucraini, secondo l’Unicef, sono stati sfollati dall’inizio della guerra ucraino-russa. Dei 3,2 milioni di quelli che viene stimato siano rimasti nelle loro case, invece - quasi la metà - potrebbe essere a rischio di non avere abbastanza cibo. 

Ma ci chiediamo: è solo la condizione di profughi o di affamati che terrorizza nel futuro dei bambini di guerra che in queste settimane riempiono le scene dell’orrore? Ombre ancor più sinistre che non la paura e il terrore per il terribile presente e futuro della stirpe umana incombono sul domani. Se volessimo dar loro un nome, dovremmo chiamarle le «leggi della memoria».

Che cosa saranno in grado di ricordare questi bambini? Quali immagini sono rimaste impresse indelebilmente nei loro occhi e nelle loro menti? Quali invece sono evaporate e, magari un giorno, torneranno a premere? Riemergeranno? Quanto e come peseranno nella loro formazione e nella maturità di cittadini di domani? Come dovranno e potranno essere somministrate? E quali dovranno essere i compiti di una pedagogia della crisi? Interrogativi che gravano su questa umanità e sulla sua stessa coscienza mentre corre ai ripari e prova a difendersi dalle crudeltà, spesso anche in modo inconsapevole.

La memoria infatti si libera di quanto non conviene ricordare e preferiamo obliare. I traumi della memoria annullano, ma, anche, difendono e risarciscono. Inconsapevolmente. Non solo. C’è sempre qualcuno che provvede a giocare con le leggi della memoria, esaltandola o provando a occultarla.

I vincitori di tutte le guerre sono i primi a preoccuparsi di scrivere e riscrivere le «loro» storie, attraverso un atto di mistificazione che il più delle volte è il massimo dei soprusi che si possa compiere sui vinti, e, genericamente, possiamo dire sui più deboli. In primis, i bambini, le donne, i vecchi.

Il tentativo è orchestrato in tutte le guerre e i genocidi del passato, quando l’impietosa mano secolare della documentazione, orale o scritta o fotografica, era troppo debole, fallace, discutibile, non agiva ancora come invece agisce oggi.

Le forme più comuni di memoriali ricorrono ai monumenti, alle statue, alle fontane, cui si ricorre per onorare le persone uccise o scomparse in atti di guerra. Spesso vengono anche edificati memoriali di strada  che segnano un percorso, il luogo in cui una persona è morta. Ma quando la distruzione prende la forma del genocidio, degli eccidi di massa?

Certo è che oggi non possono più perpetuarsi i tentativi maldestri e mascherati di occultare dei secoli scorsi. Le distorsioni, le mistificazioni, sono sempre dietro l’angolo, ma questa volta, per l’Ucraina, per i vincitori e i vinti, la questione è anche diversa. La narrazione in diretta, la militanza di un rinnovato giornalismo di guerra, l’attenzione e la tensione internazionali lasciano che la terribile legge dell’attuale scriva il suo racconto, nei particolari, con le controprove della testimonianza diretta, oculare, documentale. Che cioè la verità della storia si rinnovi in diretta, mentre i carnefici compiono i misfatti.

Con il piglio di implacabili notai dell’orrore la coscienza civile dei testimoni gira per i teatri di guerra mentre la morte prova a chiudere una partita che invece rimane aperta, perché qualcuno filma, scrive, documenta.

La terribile e irresistibile voglia di guerra che è in noi.

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