Il commento

Europa federale, il coraggio parte dalle scelte

Ennio Triggiani

L’unica via d’uscita da una situazione palesemente contraddittoria è data da una maggiore e autonoma coesione militare degli Stati membri dell’Ue

Parlare di pace, in un contesto di guerra, non è facile soprattutto quando uno Stato sovrano è brutalmente aggredito e la tentazione del riarmo è sempre a portata di mano. Ma la risposta istintiva è sempre la più opportuna o la più giusta? La Carta delle Nazioni Unite nel 1945 per la prima volta mise fuori legge la guerra, fino a quel momento normale strumento di soluzione delle controversie, consentendo ovviamente solo la legittima difesa individuale e poi quella collettiva, quest’ultima sotto il controllo del Consiglio di sicurezza. Per ribadire la centralità della pace nel 1948 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite rafforzò il rispetto di tale valore approvando la «Dichiarazione universale dei diritti umani», la violazione dei quali non rimaneva più chiusa all’interno dei confini di uno Stato ma produceva una responsabilità di fronte alla intera Comunità internazionale. Si creavano così le basi giuridiche per la nascita dei tribunali penali internazionali.

L’integrazione europea ha fatto propri tali principi ponendo al centro della propria esistenza la pace che infatti per la prima volta nella storia ha visto cancellata irreversibilmente la guerra nei rapporti fra gli Stati membri. E ha consolidato tale conquista ponendo al centro del suo sistema la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti fondamentali (Carta di Nizza del 2001) e la loro tutela anche giurisdizionale. Per queste ragioni può apparire stridente la decisione dell’Ue di riaprire al riarmo e di sostenere l’invio di armi a sostegno della resistenza ucraina. Certo, la solidarietà richiesta dalla Nato pone indiscutibili vincoli anche se bisogna ricordare che dopo la caduta del muro di Berlino si è commesso il grave errore di non ridisegnare il sistema di sicurezza europeo e i nuovi equilibri; non si è affiancata alla fine del Patto di Varsavia quella della Nato o previsto l’ingresso della Russia in quest’ultima. In altri termini, si sono conservate logiche e strutture appartenenti ad un epoca passata senza inventarsi le nuove richieste dalla evoluzione storica in atto. La conseguenza è stata che gli europei hanno via via abdicato alle proprie responsabilità delegando agli Stati Uniti, nel quadro della Nato, i maggiori oneri finanziari e politici ma ponendosi di fatto in situazione subalterna rispetto alla politica estera statunitense.

Ed allora, oggi che lo scenario europeo torna ad essere teatro di guerra, una maggiore responsabilizzazione anche finanziaria dei Paesi europei all’interno della Nato appare inevitabile. Resta peraltro l’amara constatazione che, di fronte ai gravissimi problemi che affliggono il mondo contemporaneo, incrementare la spesa per la rincorsa agli armamenti in funzione delle reciproca deterrenza è una sciocchezza. L’unica via d’uscita da una situazione palesemente contraddittoria è data da una maggiore e autonoma coesione militare degli Stati membri dell’Ue rafforzandone la capacità negoziale e ricordando la pur fallita esperienza di costituire una Comunità Europea di Difesa (CED). Nel 1952 fu firmato a Parigi il Trattato che la istituiva ma che non riuscì ad ottenere la ratifica da parte del Parlamento francese per la freddezza del governo presieduto da Mendès-France e a seguito della alleanza fra gollisti e comunisti. La CED presentava profili fortemente innovativi in quanto gettava le basi per la costruzione di uno Stato federale capace di garantire effettivamente la sicurezza dell’Europa e la sua autorevolezza sul piano diplomatico. Infatti, si prevedeva un’Assemblea costituente per redigere il progetto di una Comunità Politica Europea di cui la CED non diveniva che un tassello. Tuttavia, i tempi non erano maturi.

La «bussola strategica» varata lo scorso 21 marzo sembra muoversi, purtroppo in via solo embrionale, verso il recupero del vecchio progetto. Essa prevede la creazione di una task force in grado di schierare rapidamente cinquemila militari ovunque ci sia una crisi e il potenziamento dell’intelligence e dei partenariati strategici. Una difesa comune, tuttavia, dovrebbe essere governata da una politica estera comune che oggi in realtà non esiste in quanto condizionata dal voto unanime dei 27 Stati membri, cosa che, in una materia così complessa, è pressoché impossibile. Il secondo limite è legato alla maggiore spesa, che al contrario sarebbe superabile ove si recuperasse in tempi rapidi lo spirito alla base della CED, consentendo così un consistente risparmio rispetto alla sommatoria, in materia, dei 27 bilanci degli Stati membri. Razionalizzando la capacità anche tecnologica della difesa europea sarebbe quindi possibile dirottare ingenti risorse verso le politiche sociali e la difesa (questa volta) dell’ambiente nonché, soprattutto, della vita e della dignità delle persone. Ma bisogna avere il coraggio politico di muoversi, senza ulteriori indugi, verso la costruzione di un’Europa federale.

Privacy Policy Cookie Policy