il commento
Le morti sul lavoro e quel triste rito del commiato peloso
Rituali i messaggi di condoglianze di sindaci, politici e sindacati. Mentre tutto quello che occorre fare sul fronte della prevenzione continua invece a mancare
Nel 2021 più di 3 persone sono morte ogni giorno nell’esercizio della propria attività lavorativa. Un po’ meno rispetto al 2020 (-3.9%) – anno contrassegnato dall’arrivo del Covid e dunque con luoghi di lavoro meno frequentati - ma sempre troppe: sono stati ben 1.221 gli incidenti con esito mortale segnalati all'Inail nell’intero arco dell’anno scorso. Da brividi i numeri delle denunce di infortunio sul lavoro nel 2021, oltre mezzo milione (esattamente 555.236). Tra le regioni italiane che mostrano aumenti maggiori di morti bianche ci sono sia la Puglia (+18 casi) che la Basilicata (+12 casi).
Numeri che dovrebbero indurre tutti – a partire dai mezzi di informazione, da noi giornalisti che rischiamo a quei numeri di assuefarci e dunque di archiviare la vita di un lavoratore spezzata come un fatto di cronaca qualsiasi – a reagire, a prendere posizione, a fare quello che si può per fermare la triste catena di morte. Invece non accade, nemmeno nelle aree politiche che pur dovrebbero avere il lavoro e i lavoratori nella loro ragione sociale, presi come siamo dalle sofisticate (o presunte tali) analisi di politica estera e tattica bellica che hanno sostituito i discorsi di fini disquisitori di elezioni presidenziali, esperti virologi, competenti allenatori di calcio.
Antony Turnone l’altro giorno è morto nel Salento, folgorato dall’alta tensione che ha attraversato un braccio meccanico e l’ha ucciso. Era originario di Martina Franca, viveva a Crispiano, aveva appena 30 anni: stava lavorando per conti di una ditta in un impianto fotovoltaico a San Donato, ad una manciata di chilometri da Lecce. Il braccio meccanico che stava manovrando per spostare alcuni container ha toccato un cavo dell’alta tensione che non gli ha lasciato scampo: è morto dopo la disperata corsa all’ospedale Vito Fazzi di Lecce. Ieri pomeriggio, invece, è toccato ad un 70enne di Cerignola, caduto dal tetto sul quale stava posando un rivestimento per portare a casa una giornata di lavoro.
Rituali i messaggi di condoglianze di sindaci, politici e sindacati, tutti costernati perché «nel terzo millennio in Italia si continui a morire sul lavoro» e di un «momento di incolmabile dolore» in quanto «non si può perdere la vita a 30 anni lavorando».
Un rito ormai stantio perché a ogni incidente sul lavoro, a ogni morte bianca, segue un coro destinato a ripetersi quasi stancamente al prossimo infortunio. Tutto quello che occorre fare sul fronte della prevenzione continua invece a mancare.
I processi per omicidio colposo, chiamati ad accertare eventuali responsabilità per la morte di un lavoratore, durano anni e anni e malgrado la lunga prescrizione, spesso finiscono con l’essere spazzati via dall’inesorabile trascorrere del tempo. Anche quando si tratta di casi mediaticamente eclatanti come quello di Alessandro Morricella, operaio del siderurgico di Taranto, anch’egli di Martina Franca come lo sfortunato Antony Turnone, investito l’8 giugno del 2015 da una fiammata, mista a un getto di ghisa incandescente, mentre misurava la temperatura del foro di colata dell’altoforno 2 ex Ilva e morto quattro giorni dopo (il 12 giugno) al Policlinico di Bari. Alessandro fu ricoverato con ustioni profonde che avevano interessato il 90 per cento del suo corpo. Indossava tuta ignifuga e casco, ma gli strumenti di protezione non bastarono a salvargli la vita. Il Governo dovette intervenire con un decreto per consentire la facoltà d’uso dell’impianto, quel decreto poi è finito alla Corte Costituzionale, innescando un dibattito politico e giurisprudenziale ma a quasi 7 anni da quell’infortunio, il processo chiamato a fare luce su eventuali responsabilità è ancora sul binario del primo grado.
Servono sezioni specializzate nei tribunali penali, specie nelle città contrassegnate da rilevanti poli produttivi e da una elevata infortunistica; occorrono più ispettori sul lavoro; servono maggiori investimenti sulla formazione.
Il resto sono chiacchiere, logore e stantie. Buone probabilmente per discettare di politica estera, sicuramente non per asciugare le lacrime di chi piange una moglie, un marito, una figlia, un figlio, usciti da casa per andare a lavorare e mai più tornati a casa.