Editoriale
Il pacifismo è l'«arma» contro Putin
Anzitutto un'avvertenza: questo articolo contiene affermazioni pacifiste e può nuocere gravemente alla salute dei tanti esperti e guerrafondai che in questi giorni hanno preso il posto dei virologi nei talk show.
Fatta la premessa, i fatti. Da due giorni i russi hanno in mano anche una centrale nucleare da sei reattori, che pare sia potente e pericolosa quanto dieci Chernobyl, sito tristemente noto che tra l'altro si trova (e non da ora) a 130 chilometri da Kiev. I russi pare abbiano ucciso duemila persone, tra cui 100 bambini, nella sola città di Kharkiv. E ancora: i russi nelle razzie di guerra avrebbero rapito uomini e violentato donne ucraine; i russi hanno diffuso ieri la voce (poi smentita) che il leader ucraino Zelensky fosse fuggito dal Paese, gettando nello scompiglio gli ucraini, forti ma stremati.
Possiamo restare inermi assistendo ad una guerra decisa da un uomo solo, che ogni tanto ha bisogno di mostrare i suoi muscoli e la sua fragilità? Putin lo ha già fatto con la Georgia e la Moldavia, ora lo sta facendo con l'Ucraina e con il mondo. Anche con noi europei, che per tutta risposta, mandiamo armi a Kiev, andando contro lo spirito della nostra Costituzione.
La guerra genera altre guerre, anche mentali. «Ha visto il video degli ucraini che sparano in aria all'impazzata senza riuscire a beccare gli aerei russi?», dice un pizzaiolo a Bari lavorando sulla capricciosa. Qualcuno rilancia mostrando le immagini dei carri armati russi finiti fuori strada e di un asilo sventrato da un'esplosione. Poi, la discussione vira sui soldi che i russi, portano da noi. Come se queste cose, l'orrore e il danaro, abbiano una relazione.
Gli ucraini bombardati davvero, noi bombardati dalle immagini, quel mezzo di comunicazione che già il grande sociologo McLuhan definiva «freddo», perché alla fine accorcia le distanze e normalizza ogni tipo di visione. Da una settimana i social, la Tv, le chat sui cellulari sono un pullulare di immagini da War Games, alcune persino fasulle, finite tra l'altro dai videogame ad un telegiornale, data la confusione globale e la sindrome giornalistica del copia e incolla. Nel frattempo, se ci si mette a fare un po' di zapping Tv, gli esperti, tutti grandi nomi, sciorinano le ragioni della Russia; gli economisti propinano le prossime tragedie di Pil e Borse; i militaristi raccontano le imprese belliche, attuali e passate. Sì, tutti premettono che la guerra è terribile, tutti s'inteneriscono per i drammi ucraini... ma, ogni tanto, si avverte quasi la sensazione che una perfidia globale stia invadendo l'umanità già incattivita dal Covid. Ci si può schierare, ci mancherebbe, ma ci vuole davvero il pelo sullo stomaco.
Lo stesso pelo sullo stomaco che serve a liquidare il pacifismo, quello che nelle piazze del mondo, non ha nulla più che semplici bandiere colorate da sventolare. O il pacifismo in versione religiosa, che a Bari ha visto pregare insieme sulla tomba di San Nicola l'arcivescovo Satriano e il rettore della Chiesa Russa Bachin, gesto ecumenico che vale più di mille parole. E ancora: marce, sfilate, manifestazioni.
I gesti di pace appaiono ai detrattori come dei déjà vu perché, e non è un caso, si ripetono sempre, di qualsiasi guerra si tratti. Ovviamente: sono gesti apolitici (attenzione alla «a» iniziale), non rispondono alle beghe di destre e di sinistre, delle quali ora si nega l'esistenza e ora invece la si conferma sui fatti, sui commenti, sulle deduzioni fatte coi paraocchi. Ma l'attacco unilaterale a un popolo, qualunque ne sia stata la causa, non può essere spiegato con la politica, o almeno con quella politica che è attenzione alla polis, alla gente. Non possono esistere paraocchi quando attorno la gente muore schiacciata sotto un palazzo. Chi è per la pace, lo è sempre, in Iraq e in Bosnia, in Ucraina e in Siria. La vergogna del nostro mondo avanzato (o presunto avanzato) è che non si riesca a risolvere queste crisi a monte, con colloqui e mediazioni che non siano fatti solo di armi, petrolio, gas, ricchezza minerarie. Il sacrificio degli innocenti non lo merita, così come il mondo non merita di assistere a questi spettacoli di «bullismo» internazionale, figlio in questo caso di una cultura illiberale, basata sul denaro e sul potere degli oligarchi, i primi russi che forse andrebbero sanzionati.
Tutto il resto è noia. Anche le campane da far suonare alle 19 per «solidarietà» all'Ucraina o le luci da spegnere, o forse da accendere, visto che qualcuno nei messaggi delle chat di queste ore aveva capito male e ha sbagliato il gesto solidale. Non c'è nemmeno voglia di riderci su. Ma questo sì che è un déjà vu, è vero, come pure il giro delle raccolte di beni che poi non sono quelle previste ma sono fake che, chissà perché, vengono diramate nell'oceano internettiano. In realtà, l'uomo terribilmente buono che Dostoevskij ha voluto descrivere ne L'idiota, in realtà è difficile da trovarsi. E lo disse lo stesso scrittore russo, irrinunciabile romanziere, che ora (queste sì che sono reazioni «pacifiste» scomposte!) qualcuno voleva censurare. Chissà cosa s'inventerebbero gli estremisti per quel genio di Prokofiev, il compositore di Pierino e il lupo, che nacque nell'attuale Ucraina, ma da madre russa. Ora che il lupo vuole divorare tutto, la musica non risuona più. Sembra un'utopia, ma non lo è: basta, finiamola di cercare le ragioni di tutti, perché se tutti hanno ragione, solo la pace, il vituperato e sottovalutato pacifismo planetario, può far tornare azzurri i nostri cieli. E visto che rischiamo tutti, per una volta impegniamoci tutti.