L'opinione
Sofferenza per la gente e niente cambi di regime. Sanzioni a rischio flop
Le sanzioni dovrebbero anche riguardare l’export di prodotti chimici e tecnologici. Il Giappone ha annunciato lo stop all’export di semiconduttori e componenti tecnologiche non solo ad uso militare ma anche civile
Sono passate poche ore dall’annuncio di Putin e dall’invio massiccio delle forze armate russe nelle regioni separatiste del Donbass. Come previsto l’annuncio di sanzioni da parte del fronte occidentale non ha tardato ad arrivare. Ma le sanzioni funzionano? Cosa sappiamo degli effetti che realmente producono sia rispetto alla possibilità di risolvere l’escalation del conflitto sia rispetto al loro impatto economico?
Guardiamo prima quali sanzioni sono state al momento annunciate in questa complessa e pericolosa partita a scacchi. L’Unione Europea e gli USA imporranno sanzioni coordinate ai 351 membri della DUMA, il parlamento Russo, che hanno votato i provvedimenti annunciati da Putin, a 27 altre entità (individui, banche e imprese «chiave») e non meglio precisate restrizioni commerciale mirate alle due regioni separatiste (come fatto per la Crimea). Queste misure «chirurgiche» sembrano poca cosa e scarsamente in grado di incidere in modo significativo. Più importante la terza linea di azione annunciata da Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione Europea, e dal presidente americano Biden, ovvero la riduzione della capacità di accesso a mercati finanziari e capitali Europei e Usa da parte della Russia. L’obiettivo è quello di colpire la capacità di finanziamento del debito pubblico russo. Il timore, però, e che anche questa sia poco incisiva - almeno nel breve termine - considerando che la Russia ha accumulato riserve complessive per oltre 600 miliardi di dollari, pari al 120% del totale del debito esterno del paese e in grado di coprire l’equivalente di oltre 18 mesi del valore dell’import (una soglia ritenuta dagli studiosi di economia internazionale ampiamente in grado di evitare una crisi finanziaria nell’immediato).
La Germania ha annunciato il blocco alla certificazione di Nordstream2, il gasdotto completato nel 2021 e destinato a portare il gas russo direttamente in Germania. È un annuncio potenzialmente importante ma per essere incisivo è fondamentale che sia una minaccia «credibile» dell’eventuale intenzione tedesca di esser disposta ad accantonare completamente tale progetto. Considerando i costi di tale scelta per l’economia tedesca - e l’impatto potenziale su un’inflazione da costi energetici che già galoppa - qualche dubbio è legittimo. Anche questo è un annuncio che nella partita in corso rischia dunque di essere poco più che simbolico al momento.
Le sanzioni dovrebbero anche riguardate l’export di prodotti chimici e tecnologici. Il Giappone ha annunciato lo stop all’export di semiconduttori e componenti tecnologiche non solo ad uso militare ma anche civile.
È evidente che ad una violazione così ampia e plateale delle leggi internazionali da parte della Russia non poteva che seguire questa reazione immediata. L’obiettivo delle sanzioni è quello di infliggere costi economici al paese a cui si applicano al fine di far cambiare politiche non desiderate a chi le impone. Al momento però la forza di queste sanzioni come pungolo per ritornare sulla strada della diplomazia sembra decisamente limitata.
Quali potrebbero essere i prossimi passi? La storia ci insegna che potremmo aspettarci sanzioni più ampie, ad esempio blocchi e barriere commerciali (come quelle imposte all’Iran), che tuttavia hanno il rischio di maggiori effetti collaterali perché portano ad un aumento dei prezzi di beni e servizi colpiti e a una riduzione dell’interscambio commerciale. Considerando la natura dei prodotti scambiati con la Russia è evidente la potenziale ricaduta sui prezzi dell’energia in Europa (e non solo) nonché i costi elevati per la popolazione russa. Le ampie sanzioni applicate all’Iran hanno portato ad una forte riduzione del benessere del Paese e una perdita rilevante di occupazione in molti settori; non hanno tuttavia portato ad un cambiamento istituzionale significativo. Lo stesso è avvenuto con le sanzioni alla Russia nel 2014 o alla lunga lista di sanzioni verso altri regimi. La lezione che si trae dagli studi esistenti sull’efficacia delle sanzioni è che in regimi autocratici - come quello russo - i costi delle sanzioni difficilmente si traducono in un cambiamento politico e istituzionale spinto da dinamiche interne.
La sofferenza e l’insoddisfazione della popolazione non basta, anzi, la propaganda in regimi poco democratici potrebbe portare a radicare l’odio verso i «nemici esterni». È sul piano dei rapporti internazionali tra Stati che bisognerà trovare la strada per risolvere il conflitto. La speranza è che le mosse tattiche aggressive di questi giorni siano «solo» messaggi e segnali calcolati da entrambe le parti per dare nuovo spazio ad una soluzione diplomatica. Per l’Europa sarà una partita a due tempi. Occorre fare di tutto per evitare lo scenario peggiore nell’immediato, quello di un conflitto aperto che porterebbe ad una tragedia umana ed economica. Bisognerà da subito, tuttavia, lavorare per trasformare la nostra dipendenza energetica dalla Russia in una interdipendenza e normalizzazione dei rapporti economici e geopolitici. Come dimostra il processo di integrazione Europea di questi decenni, solo l’interdipendenza e la costruzione di meccanismi di cooperazione Istituzionale può rappresentare un duraturo antidoto ai conflitti violenti.