L'intervista

«L’Europa riscopre l’industria ora il Sud non resti indietro»

Leonardo Petrocelli

Manzella (Svimez): una pubblica amministrazione forte per offrire certezze e servizi migliori. Il Mediterraneo la vera carta vincente

Gian Paolo Manzella, economista e vicepresidente della Svimez, nonché autore con Marcella Panucci del nuovo Quaderno «Tra competitività e coesione. Vicende della politica industriale Ue», può spiegare cos’è l’ «occasione europea» di cui si parla nel volume?
«La parola occasione indica un concorso di circostanze. Ed è chiaro che con il “Rapporto Draghi”, l’Ue ha posto al centro il tema della sua competitività industriale. Un obiettivo che parla molto direttamente all’Italia, seconda manifattura del continente. E quindi, ed è una prima occasione, se l’Europa dà attenzione all’industria anche l’Italia e la sua dimensione industriale sono più forti. Ma anche la coesione è centrale: è sempre più chiara l’attenzione ai “luoghi lasciati indietro”, alle diseguaglianze. Un binomio che apre a del lavoro da fare».

Entriamo nel concreto. Da dove si inizia?
«In questi mesi si ridiscute la politica di coesione dei prossimi anni. Ecco: vogliamo una coesione più orientata ai risultati? Vogliamo un ruolo maggiore del livello centrale? Come debbono parlarsi politica regionale e politica industriale? In che modo si migliora l’impatto complessivo dei fondi? Queste le domande da farsi e su questo lavorare».

Il ritorno della politica industriale in Europa è, quindi, anche un’occasione per il Mezzogiorno?
«Sicuramente. Il Mezzogiorno d’industria c’è ed i Rapporti Svimez lo pongono in rilevo da anni. Le indicazioni europee arrivano, quindi, su un tessuto produttivo che può rispondere: in termini di settori su cui puntare; del modo in cui scegliere gli investimenti, di come coinvolgere i diversi attori, a partire da amministrazioni e mondo del sapere. E poi ci sono questioni europee che trovano nel Sud una declinazione importante».

Per esempio?
«Il settore automobilistico. Se l’Europa si dà una strategia dell’automotive, lo mette in cima alle sue priorità, è un fatto importante anche per il Mezzogiorno, dove si produce l’85% delle vetture italiane».

Stringiamo la telecamera: quali gli elementi di vantaggio già presenti sul territorio meridionale?
«Innanzitutto la posizione geografica strategica nel Mediterraneo: in un’area del mondo tra le più complesse siamo il punto di riferimento più saldo. Poi, penso ai fondi europei in arrivo nei prossimi anni. E, ancora, alle eccellenze nella Università e nella ricerca, cruciali quando la parola d’ordine europea è innovazione. Ma su tutti penso che il vantaggio principale sia nel fatto che il Mezzogiorno è già oggi nei settori del futuro: i semiconduttori a Catania ed in Abruzzo; l’aerospazio tra Campania e Puglia; il farmaceutico e le batterie elettriche ancora in Campania; i pannelli solari in Sicilia; le pale eoliche a Taranto. E si potrebbe continuare. Il Mezzogiorno, insomma, ha già oggi un piede nelle vocazioni strategiche europee su cui costruire impresa, filiera, rapporti con le università ed i centri di ricerca. Tutti mondi che vanno collegati - ed in questo senso la parola europea a cui guardare è “Ecosistema” - ma le basi di una specializzazione in chiave europea, che guarda al futuro ci sono. E poi, me lo lasci dire, c’è anche un altro aspetto in questo passaggio».

E cioè?
«Il dibattito sull’Autonomia differenziata ha addensato attorno al tema del Mezzogiorno energie ed esperienze. Si è ricreato lo spazio per un discorso pieno sul Sud, capace di andare oltre le voci più innovative dell’economia e dell’industria, di stimolare forze profonde: penso alla tradizione di Cassano e Fofi, al lavoro di pensatori come Teti, per arrivare alla Chiesa. La riflessione avviata è un patrimonio da non disperdere e che, va declinato in forme concrete anche dal punto di vista economico e produttivo».

Se questi sono i «vantaggi», quali invece i gap già evidenti e le azioni prioritarie da portare avanti?
«Un aspetto centrale è la “questione amministrativa”. Passa un po’ tutto da lì. Se io ho un’amministrazione forte, riesco a fornire servizi di qualità, dare certezza, ad essere autorevole. E se do servizi, creo certezza e sono autorevole costruisco un territorio attrattivo. E qui c’è un punto cruciale. Solo se il Sud è percepito come luogo attrattivo ci sono le condizioni per far rimanere i ragazzi nel Mezzogiorno. L’esodo dei ragazzi meridionali, e come Svimez lo abbiamo messo in evidenza tra i primi, è una ipoteca pesantissima sul futuro del Sud».

Veniamo alla Puglia: il caso ex Ilva è paradigmatico di quella che è l’attuale crisi industriale del Paese e di come si dovrebbe lavorare per rilanciare l’azione economica?
«La questione Ilva è oramai davvero una sorta di paradigma italiano. Ci si incontrano i nodi del rapporto pubblico-privato; le diffidenze nella relazione tra politica ed industria; la difficoltà di un dialogo moderno con il mondo globale e le sue dinamiche. In controluce quindi parla di molti dei problemi del “governo dell'industria” in Italia. Ma accanto ad Ilva in Puglia c’è un tessuto di impresa molto significativo: tiene insieme aerospazio e calzaturiero, meccanica e produzioni tradizionali, ricerca e agroindustria. Ecco penso si debbano far conoscere di più queste storie, costruire attorno ad esse occasioni di crescita di sviluppo culturale ed economico».

Infine, la Zes Unica per il Mezzogiorno: sta funzionando o andrebbe rivista?
«La Zes Unica è figlia di una lunga storia e come Svimez pensiamo possa dare un contributo serio all’economia del Sud: su tre piani. Quello “identitario"”, innanzitutto, perché la Zes risposta l’attenzione sul Mezzogiorno come grande area del Paese su cui va costruito un progetto di sviluppo. In secondo luogo, la Zes è un “magnete” di programmazione, il suo Piano strategico può, direi deve, dare un indirizzo unitario alle amministrazioni che si troveranno a decidere come investire i fondi a loro disposizione. In terzo luogo, ed è ugualmente importante, è un attrattore di investimenti grazie alla semplificazione: e così facendo aggredisce la questione amministrativa e abitua alla velocità nelle decisioni, contribuisce a dare certezza».

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