La storia
Io, la rivolta di Trani e Messina Denaro: la vita in bilico di Alfa
È il nome in codice del maresciallo dei carabinieri (ora in congedo), tra i fondatori del Gruppo d’intervento speciale
Matteo Messina Denaro, catturato dopo anni di latitanza, è in viaggio verso il carcere de L’Aquila. A scortarlo, tra gli altri, c’è un militare del Gruppo d’intervento speciale dei carabinieri. Il boss di Castelvetrano gli chiede: «Come sta il mio compaesano?». Un «saluto», si fa per dire, al comandante Alfa, anche lui di Castelvetrano. «Il rammarico professionale è non avere arrestato il mio compaesano Messina Denaro, avrei voluto guardarlo negli occhi. Da ragazzo ho rischiato di finire come lui nella parte sbagliata, poi a 17 anni mi sono arruolato nell’Arma dove sono rimasto per 47 anni, la parte giusta, la mia vita», racconta Alfa, nome in codice di uno dei fondatori del Gis, Gruppo d’intervento speciale voluto a fine anni Settanta dall’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga. Erano gli anni del terrorismo e le forze di polizia sino a quel momento non avevano ancora al loro interno dei reparti speciali. L’occasione per sfogliare l’album dei ricordi, analizzare lo stato attuale del comparto sicurezza, ma anche gettare semi per il futuro, è l’incontro organizzato nei giorni scorsi a Triggiano dal Nuovo Sindacato Carabinieri per presentare Liberare gli Ostaggi (Longanesi), ultimo libro di Alfa. Qui, nella Casa della Cultura intitolata a Rocco Dicillo, agente della scorta del giudice Giovanni Falcone, due delle cinque vittime della strage di Capaci, Alfa, 73 anni, da anni in congedo, ma ancora oggi con il volto coperto dal passamontagna che consente di potere scrutare solo i suoi occhi che non abbassano mai lo sguardo, è un fiume in piena.
«Venimmo scelti tra i carabinieri paracadutisti, una selezione durissima». Base a Livorno. Il Gis nasce ufficialmente il 6 febbraio 1978, ma il vero battesimo di fuoco arriva dopo, in Puglia. 28 dicembre 1980, super carcere di Trani. Qui sono detenuti criminali pericolosissimi, assassini e leader delle Brigate Rosse. Questi ultimi guidano una violenta rivolta, numerosi agenti e carabinieri finiscono ostaggio dei detenuti. L’intero Paese è con il fiato sospeso. Le teste di cuoio dell’Arma intervengono con un’operazione chirurgica, calandosi sull’edificio dagli elicotteri. I militari con il volto coperto e mimetica riprendono il controllo della prigione con un blitz fulmineo. Tra loro c’è il comandante Alfa. «Un’operazione opera d’arte messa a segno in un contesto molto pericoloso. Quel giorno noi capimmo che eravamo sulla strada giusta e le istituzioni intuirono che il reparto era in grado di intervenire in situazioni difficili». Alfa in Puglia ha operato anche altre volte. «Ricordo un blitz a Bari Vecchia dove tra i vicoli non era facile muoversi. Un arrestato ci chiese un autografo dicendo: “È un onore essere catturato dal Gis”». Niente autografo, solo manette.
Terrorismo, criminalità, e tanto altro. In oltre 45 anni di attività, il Gis si è distinto in tante operazioni, dai teatri di guerra (Balcani, Afghanistan, Iraq) ai sequestri di persona a scopo di estorsione, tra i quali quello di Patrizia Tacchella, rapita in Veneto nel 1990 quando aveva solo 8 anni. «Fummo molto bravi in quella occasione - ricorda Alfa - Il rischio di un conflitto a fuoco era elevato. I rapitori non si accorsero di nulla e riuscimmo a liberare l’ostaggio senza che nessuno si facesse male». Quella è stata anche l’unica volta in cui Alfa si tolse il passamontagna facendo vedere il suo volto alla piccola. «Dovevamo tranquillizzarla, le dissi “Siamo carabinieri, ti portiamo a casa”. Ricordo ancora oggi il suo abbraccio e la frase “Vi aspettavo”. L’ho incontrata anni dopo, è stato davvero emozionante». Nel suo curriculum anche la scorta al magistrato antimafia Nino Di Matteo.
Ma cosa si prova un secondo prima di entrare in azione? «Attraverso questa piccola fessura - spiega Alfa indicando il passamontagna - ci guardiamo negli occhi per capire quando siamo pronti. Poi abbiamo un modo di salutarci, stringendo il braccio di chi è davanti a noi per fargli sentire che non è solo. Quando il comandante dell’aliquota dà il segnale, spariscono pensieri e sensazioni, scorre l’adrenalina e agisci. Bisogna solo concentrarsi sull’azione in cui ognuno di noi ha un compito. Tutti abbiamo una fede immensa in Dio, ognuno di noi si affida a lui oltre che al collega accanto».
Alfa, tra i carabinieri più decorati d’Italia, indossa ancora il passamontagna. «Nel 2020 decisi di toglierlo, poi però io e la mia famiglia abbiamo ricevuto minacce dopo un post sui social in cui criticavo il governo su alcuni aspetti nella gestione della pandemia. Ho preferito riprendere alcune precauzioni». Una vita complicata la sua, fatta di rinunce, soprattutto in famiglia. «Non mi sono potuto godere la famiglia e i figli, accompagnarli a scuola o a un allenamento di calcio, leggere insieme una pagella, festeggiare il Natale. Tante rinunce, ma anche in questo sono stato fortunato avendo accanto una moglie straordinaria».
Sul suo sguardo, cala un velo di tristezza solo quando parla dei rapporti non sereni con l’Arma che Alfa ha servito per quasi mezzo secolo. «Vorrei un confronto con i vertici dell’Arma. Vorrei sapere perché mi stanno trattando in modo ostile». Oggi Alfa si divide tra la famiglia e il progetto di un’Accademia che sta nascendo in provincia di Como, «una parte sarà dedicata all’aggiornamento delle forze di polizia. Un’altra ai giovani, sono molto preoccupato da come ragionano, li vedo alla deriva. Dobbiamo fare qualcosa per loro».
Su uno schermo scorrono le immagini delle stragi di mafia e di Nassiriya; delle operazioni del Gis e di Francesco Cossiga. Sul palco sale Vito, un bambino di 9 anni che ha già avuto modo di parlare con il comandate Alfa. Impossibile perdere l’occasione di salutarlo quando il suo idolo è in paese. «Vorrei fare il carabiniere - è la sintesi della sua lettera aperta - Non so se ci riuscirò, ma volevo ringraziarti dei valori che rappresenti». Almeno un seme, non c’è dubbio, è già germogliato.