Letteratura e non solo

“Godiam fugace e rapido è il gaudio dell’amor”

Carmela Formicola

Giulietta, Anna, Aida, Violetta amare controccorrente. La ribellione di chi rivendica il proprio diritto alla felicità

Scegliere chi amare è una delle prime e più potenti ribellioni femminili. «Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato, e sarai innocente». Sono le potenti parole di Giulietta che rema contro la famiglia, la faida tra Capuleti e Montecchi, le convenzioni sociali, che si innamora e non torna indietro. Sono i tempi in cui gli uomini chiedono ad altri uomini di “avere in moglie” la figlia, procedura ostinatamente sopravvissuta nei secoli fino a diventare un paradigma. D’altronde non accade ancora che sia il padre a “consegnare” la figlia allo sposo sull’altare? Un rituale oggi probabilmente innocuo che però ha dentro una matrice arcaica, un codice non scritto, una legge taciuta: gli uomini decidono il destino sentimentale delle donne, sono loro - in questo angusto solco - i padroni della loro “possibile” felicità. Era già stato pattuito che Giulietta dovesse sposare Paride. Ma il cuore è un organo di fuoco.

E allora Giulietta sceglie di amare Romeo e in quella scelta non si consuma soltanto una delle più celebri e iconiche tragedie shakespeariane piuttosto prende forma l’essenza stessa dell’autodeterminazione femminile e scocca la scintilla della ribellione. Perché decidere di amare controcorrente significa rivendi- care il proprio diritto al futuro e a quella “possibile” felicità. A questo diritto non rinuncia Anna Karenina. «Comprendi che per me, dal giorno in cui ho cominciato ad amarti, tutto, tutto è cambiato. Per me esiste una cosa e una sola, il tuo amore. Se ho questo amore, mi sento così superiore, così salda, che ormai nulla per me può essere umiliante». È vero: la relazione tra Anna e il giovane Vronsky è quello che oggi tutti definiremmo un amore tossico. Lei che si perde in questa spirale di passione, ossessione, gelosia eppure estasi, euforia, felicità. Nulla di sano, in ogni caso, tanto da trovare infine sollievo soltanto nella morte. Ma domandiamoci perché Tolstoj sente il bisogno di uccidere un personaggio femminile così bello, non l’annoiata Bovary, ma una donna forte e sensuale, che sfida la società, il suo tiepido marito, che non ha vergogna, che non ha paura.

Il suicidio di Anna è necessario perché deve far da monito. Se lei non si fosse gettata sui binari al passare del treno ma avesse mandato al diavolo il marito e magari lo stesso giovane amante, sarebbe uscita dalle pagine del vecchio Lev come una donna sessualmente libera, al pari degli uomini. Cosa impensabile nel 1877. Per molti, anche nel 2025. Ed ecco spiegata la morte di Maddalena, di Aida, di Tosca, di Violetta e di tutte le altre: donne troppo dirompenti per lasciarle in vita e farle diventare esempi. Violetta Valéry è forse la più straordinaria incarnazione della libertà. Il suo personaggio è di carne e ossa perché vera è la sua storia: Alphonsine Plessis, poverissima, venduta dal padre violento a un anziano parigino. A Parigi cambia nome, diventa Marie Duplessis, si fa credere una nobildonna e allaccia numerose relazioni sessuali (forse anche sentimentali). Uno dei suoi amanti, Alexandre Dumas figlio, la rende immortale ne La Signora delle camelie, poi diventata la Traviata di Giuseppe Verdi. Ribelle, seduttiva, intellettuale. Alphonsine cioè Marie cioè Margherita Gautier cioè Violetta Valery è fuoco puro. I maschi li sceglie e li scarta. Ci gioca. Si diverte.

Nel primo atto della Traviata, nel più famoso brindisi della storia (Libiam dai lieti calici) Violetta canta «Godiam, fugace e rapido è il gaudio dell’amor: è un fior che nasce e muore né più si può goder». E ovviamente, come da copione, Violetta muore, stavolta uccisa dalla tubercolosi. Perché è comunque il patibolo l’esito di una donna libera. Ma se in “tutte le lacrime indugia una speranza” (Simone de Beauvoir), dopo secoli e secoli di narrativa femminicida, la bandiera della libertà femminile sventola tra le pagine di Ci vediamo ad agosto, romanzo postumo di Gabriel Garcia Marquez dedicato a Ana Magdalena Bach, donna sposata «con due splendidi occhi dorati che ogni anno il 16 agosto va su un’isola dei Caraibi per portare un mazzo di gladioli freschi sulla tomba della madre». Il viaggio, l’amore, il sesso, la consapevolezza, la musica, il gin. Nel lirismo di Gabo e in questa storia ordinaria eppure possente, si ricompone la libertà delle donne. E le ragazze? È vero che ogni paradigma è rovesciato, che la libertà alla fine è giunta, che le pesanti vesti destinate a coprire i corpi femminili sono state stracciate in un sollievo di parità? In una “canzonetta” la gloriosa conclusione di una ribellione: «Le ragazze, come le comete, quando brillano vuol dire che hanno già deciso di tuffarsi» (Edoardo Bennato).

Privacy Policy Cookie Policy