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Sacra e profana evviva la Befana, dispensatrice di regali e personificazione dell’inverno

Sacra e profana evviva la Befana, dispensatrice di regali e personificazione dell’inverno

 
enzo verrengia

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enzo verrengia

Sacra e profana evviva la Befana

Le origini non ne diluiscono il retaggio e, a parte la vecchia a cavallo, resta il momento del Cristo appena nato. Deriva dalla figura di Perchta, dalla fisionomia poco gradevole

Lunedì 06 Gennaio 2025, 10:50

Non è consigliabile fare alle donne gli auguri per la befana nell’epoca del #metoo. D’altronde, l’iconografia e le origini mitologiche del personaggio non ne diluiscono il retaggio cupo e tutt’altro che invitante. La befana è uno scampolo del paganesimo nordeuropeo. Deriva dalla figura di Perchta, personificazione dell’inverno, cui si deve una fisionomia notoriamente poco gradevole: la gobba, il naso adunco, i capelli arruffati e privi di qualsiasi pettinatura, l’abbigliamento da stracciona, i piedi enormi e le scarpe rotte. Nell’area inglese la chiamavano Bertha, in Svizzera, Francia e Italia settentrionale Berchta. In Germania Holda o Frau Holle. Nei Paesi scandinavi Frigg. Varianti di una percezione della femminilità in termini ostili, che si rifà alla saga delle Valchirie, della Notte di Valpurga e delle streghe. Senza dimenticarne due interpretazioni disneyane, la Maga Magò de La spada nella roccia e Amelia, la fattucchiera che ammalia, nemesi di zio Paperone. Eppure proprio per questo la befana è portatrice di una carica trasgressiva che echeggiava in quello slogan degli anni ‘70: «Tremate, tremate, le streghe sono tornate». Ma forse troppo complessa per il post-femminismo del XXI secolo, che cerca affermazioni dirette e inequivocabili, non paradossi fuorvianti.

Gianni Rodari nelle sue parabole educative le conferisce uno status tutt’altro che macchiettistico, oltre a responsabilità nel contesto socioeconomico del boom targato anni ‘60, emblematico di un modello di sviluppo che teneva conto del profitto e insieme premiava con i regali. Dopo i morti, le macerie e la fame della seconda guerra mondiale, l’Italia scopriva una vocazione allo sviluppo che andava di gran lunga oltre il piano Marshall e la ricostruzione. Il miracolo economico scaturiva dall’aggiornamento dello spirito creativo nazionale al mondo moderno (non ancora «post»), con la crescita e il PIL che si misuravano a percentuali di due cifre.

Nell’Italia bonacciona, non ancora buonista, le amministrazioni dello Stato e delle grandi aziende conferivano il tributo al benessere con la Befana di categoria, che consisteva in sacchi pieni di dolciumi, giocattoli e capi di abbigliamento, distribuiti ai dipendenti. Spiccava quella dei Vigili Urbani di Milano, ripresa qualche anno fa. Allora i regali venivano distribuiti ai solerti tutori del traffico detti «ghisa» dal loro elmetto, che però non era di quel metallo utile a respingere l’elettrizzazione atmosferica provocata dai veicoli. Lo stesso per la Polizia di Stato, già Pubblica Sicurezza, e gli altri Corpi dello stato. Per le aziende e i grossi marchi industriali era lo stesso, fino alle lotte operaie e sindacali, quando venne rifiutata la cosiddetta «Befana dei padroni».

Eppure i regali erano un filo conduttore dell’immaginario legato all’Epifania. Nel mondo cristiano si tratta della festività che celebra la venuta dei Re Magi alla capanna di Gesù. Verso il XII secolo sorse una leggenda sul percorso dei tre sovrani diretti a Betlemme. Sarebbe stata una donna a orientarli, confermando l’ubicazione segnalata dalla stella cometa.

Al di là dell’immagine popolare della vecchia a cavallo e della scopa riempita di tanti doni, l’Epifania resta il momento della manifestazione fisica del Cristo appena nato. Per questo motivo nei Paesi di rito ortodosso che seguono il calendario giuliano la celebrazione cade il 19 gennaio, mentre in quelli come l’Italia dove vige il calendario gregoriano è oggi.

Come tutte le date di ampia presa popolare nell’occidente avanzato, l’Epifania ripropone l’incapacità di conciliare sacro e profano. O meglio, il rischio di ricoprire la trascendenza con il manto soverchiante del consumismo e dell’edonismo.

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