L'intervista
«Vedeva comunisti ovunque, ma coraggioso in politica estera», Canfora ricorda Berlusconi
«Come Craxi ai tempi di Sigonella, ha detto quello che pensava su Zelensky»
«Mi chiede un commento su Berlusconi? Il bilancio non si fa mai su una sola persona che guida un governo, perché ci sono le varie forze politiche e quindi il lavoro è complessivo», dice il filologo Luciano Canfora, barese, grecista, storico e saggista, che nel suo ultimo libro edito da Laterza, Sovranità limitata, esamina le radici neofascistiche del Governo in carica.
Sul Cavaliere, il prof. Canfora ha un'idea precisa, soprattutto per quanto riguarda la sua politica estera: «Nessuno sta mettendo in luce quanto sia stato importante il suo ruolo». In queste ore del profluvio inarrestabile e sovrabbondante di ricordi ed emozioni, Canfora commenta in questa intervista i trent'anni di attività politica berlusconiana e la sensazione è che sicuramente abbia preferenze per il Cavaliere «estero».
Professor Canfora, cominciamo dalla politica berlusconiana.
«Sarò molto breve, perché dal punto di vista della politica interna io considero il periodo berlusconiano come nato dall'autoscioglimento della Democrazia Cristiana. Era quasi ovvio che la forza politica accogliesse un elettorato in transito da quell'esperienza, ma lui non aveva la cultura del grande dirigente democristiano, dirigenza che veniva dall'antifascismo e invece lui si proclamava liberale. E così si coalizzò subito con i missini e con la Lega. Lo dico senza moralismi, fu un po' come era accaduto con Mussolini: senza il re e senza il listone, non avrebbe fatto nulla. I liberali furono un alleato decisivo allora e lo stesso è stato per Berlusconi».
E invece, nella politica estera?
«Io credo che in questo campo, Berlusconi sia stato più intelligente dei suoi predecessori e dei suoi successori. L'unico che gli somigliò è stato Craxi, che non si inginocchiò davanti alla Nato e in questo ebbe coraggio».
E il coraggio di Berlusconi quale sarebbe stato?
«Oggi ho guardato il Tg3 e mi sono meravigliato che nessuno abbia messo in luce alcuni aspetti della politica estera berlusconiana. Faccio un esempio, che risale a poco tempo fa: quando si votò per la Regione Lombardia e la Regione Lazio, Berlusconi rilasciò una breve intervista al seggio elettorale, nella quale commentava la guerra ucraina. Disse che Zelensky stava rovinando il suo Paese per un pezzo di terra, concludendo che “non posso apprezzare la politica di questo signore”. I giornali si scatenarono ma lui non si scompose. Io credo che, come Craxi nel periodo di Sigonella, anche lui abbia avuto il coraggio di dire ciò che pensava, commentando criticamente l'atteggiamento di Zelensky».
Dai titoli dei giornali di mezzo mondo... c'è chi definisce Berlusconi un magnate con l'ossessione della politica e chi lo sta ritraendo come statista e simbolo dell'Italia tra il XX e XXI secolo. Secondo lei?
«Non c’è contraddizione tra le due definizioni. Senza inutili moralismi, devo dire che Berlusconi vedeva ovunque i comunisti, era la sua ossessione. Ma nel contempo, ha avuto un grande consenso... e - come ha detto Romano Prodi - se uno ha in mano le televisioni, il consenso si crea».