Cultura

«La scienza è donna e il futuro lo confermerà»

Redazione Cultura

Ieri a Conversano l’intervento della docente universitaria Carla Petrocelli durante la prima giornata di Lector in Scienza

CONVERSANO - È iniziato ieri il Festival Lector in Scienza, manifestazione di divulgazione scientifica organizzata dalla Fondazione Di Vagno, dall’Università di Bari e da Rai Radio 3 nella Community Library di Conversano. Ieri sera si è svolto un incontro «Tecnologia: singolare, femminile». Nel campo dell’informatica ci sono appassionanti storie di eroine geniali e visionarie che hanno posto le basi delle moderne tecnologie, senza però ricevere alcun riconoscimento, attribuito, il più delle volte, agli uomini con cui collaboravano. Da Ada Byron, prima programmatrice al mondo, all’attrice Hedy Lamarr che nell’ombra era una scienziata brillante, capace di brevettare un’idea oggi fondamentale per le telecomunicazioni. La docente universitaria Carla Petrocelli ha dialogato con Francesca Saccarola, responsabile eolico onshore Hope Group. L’incontro è stato moderato dalla giornalista Annamaria Minunno. Alla professoressa Petrocelli abbiamo chiesto di far luce sul rapporto tra donne e scienza.

Da sempre nel mondo scientifico si fanno distinzioni di genere, da sempre si cerca di scardinare la convinzione che la tecnologia possa essere soltanto ad uso esclusivo degli uomini. Con il libro Il computer è donna (edito da Dedalo con prefazione di Mario Tozzi, pp. 136, euro 18) Carla Petrocelli scardina questo concetto e dimostra come la mente femminile, da secoli è pronta ad accogliere concetti scientifici se solo viene data alle donne la possibilità di avvicinarsi alla scienza.

Professoressa Petrocelli, quando ha saputo che voleva approfondire questo argomento raccontando di donne straordinarie come quelle che ha scelto?

«Sebbene sia una storica della scienza, il mio percorso di studi è scientifico. Sono laureata in Scienze dell’informazione e, non appena ho cominciato a lavorare, mi sono accorta di un certo disagio che provavano gli uomini nell’approcciarsi con me quando capivano che ero un’informatica. Da quel momento, piano piano, ho maturato la consapevolezza che dovevo, questa volta da storica, andare a cercare le testimonianze e i contributi che le donne avevano dato in questo campo, raccontare di eventi e situazioni che gli libri sui quali avevo studiato non riportavano affatto».

C'era qualche altra donna che avrebbe voluto raccontare e che, anche per mancanza di spazio, non ha potuto raccontare?

«Sicuramente, mi sarebbe piaciuto raccontare di un’italiana, ma mi sono trovata così coinvolta nelle vicende delle mie eroine invisibili, che ho un po’ tralasciato l’indagine in Italia. Mi rifarò, me lo sono ripromessa.

Secondo i dati Eurostat, in Europa, nel 2020 il 41% delle persone che lavoravano nella scienza erano donne, in Italia questa percentuale scendeva al 34%. I numeri sono cresciuti da allora, ma non di molto. Secondo l'ultimo rapporto Unesco del 2021, infatti, solo il 33% dei ricercatori sono donne, nonostante rappresentino il 45% delle laureate e il 55% degli studenti di Master. Perché secondo lei la percentuale italiana non raggiunge ancora gli standard europei?

«Bisognerebbe fare un’opera di sensibilizzazione massiccia da un punto di vista sociale. Le nazioni che hanno un’impostazione patriarcale più rigida sono quelle che hanno le percentuali più preoccupanti. Basti pensare a come, già da neonati, canalizziamo la vita dei nostri figli con abiti di colore differente e soprattutto con giochi strutturati in maniera diversa. Ha mai visto che si regali un Meccano a una bambina, se non in casi eccezionali e fortuiti? Ebbene, è come se la società vada a segnare il futuro di queste bambine che istintivamente avranno sempre timore dei laboratori, dei computer e di tutto quello che è legato alla scienza».

Nel 2015, per la prima volta, l’ONU istituisce la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, l’11 febbraio. Perché secondo lei c’era bisogno di istituire addirittura una giornata al problema?

«Perché non se ne parla ancora a sufficienza. Nell’era dei social, fissare una data in cui parlare di un determinato argomento, stimola anche le nuove generazioni a fare da cassa risonante nella condivisione di pensieri, immagini o video. Dunque, aumenta la sensibilità collettiva. Personalmente, credo molto nei role models, nell’esempio che possono rappresentare donne che caparbiamente, solo per inseguire un istinto, per occuparsi di ciò che più le appassionava, hanno resistito a ogni tipo di prevaricazione».

Lei quando si è avvicinata alla scienza?

«Da sempre. La matematica mi ha appassionata sin da bambina e poi, crescendo, le scienze sono state sempre la mia isola felice. Ho anche avuto la fortuna di vivere in una famiglia che non mi ha mai posto alcun vincolo e che ha sempre educato sia me che mio fratello in egual maniera, senza distinzione alcuna. Forse questo è stato il vantaggio principale…».

Cosa le ha insegnato e come ha influito sulla sua vita?

«Scienza è sinonimo di ordine, di rigore, almeno io la intendo così. Questa forma mentis è stata determinante sia per la mia vita lavorativa, che per la quotidianità. Lo storico ha bisogno di essere schematico, di scegliere le fonti opportune per poter condurre una ricerca, per poter analizzare e ricostruire i fatti come sono realmente accaduti. Per quel che riguarda la vita di tutti i giorni, mi pare non debba aggiungere nulla; soprattutto per noi donne, questa impostazione è linfa vitale».

Lector in Scienza è un Festival sulla divulgazione scientifica: si può insegnare la divulgazione scientifica? Quanto serve in un momento in cui tutti si sentono in diritto di parlare di tutto?

«Serve per fare una selezione, una scrematura. Proprio perché si parla senza cognizione di causa di tutto, è necessario che ci sia la persona più competente che si esprima su un determinato tema. Se seguissimo la voce degli scienziati, ad esempio sui temi più scottanti legati ai cambiamenti climatici e alle pandemie, forse non sentiremmo le tante sciocchezze che siamo costretti ad ascoltare. Credo molto nella divulgazione scientifica e mi accorgo, giorno dopo giorno, che fortunatamente tanti scienziati si stanno dando da fare perché se ne faccia sempre di più. Unica nota dolente, che mi vedo costretta a segnalare, è che l’Accademia non la ritiene un valore aggiunto, anzi, le dirò, addirittura la penalizza».

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