addio al giornalista

Minà, luna ridente di mondi fantastici

Maria Grazia Rongo

Il regista Fabrizio Corallo: «Coraggio e gioia di vivere, che maestro»

«Per me è stato un enorme privilegio condividere con lui tanta strada del mio percorso professionale e umano. È stato un gigantesco compagno di viaggio, mentore, Maestro e amico fraterno». È commosso Fabrizio Corallo - regista, giornalista cinematografico e sceneggiatore barese, nel ricordare Minà, scomparso a 84 anni.
Corallo, quando ha conosciuto Minà?
«Nel 1980, quando facevo l’assistente alla regia nel film di Renzo Arbore Il papocchio, dove lui doveva recitare una parte e io ero stato incaricato di andare a prenderlo la mattina da casa sua per portarlo sul set. Lui però regolarmente si svegliava tardi e chiedeva di rinviare il suo intervento al giorno dopo. Siamo diventati amici subito, ed è sempre stato per me una figura di riferimento sia professionale che umana».

Ha lavorato anche con lui?
«Ho cominciato a collaborare con lui in un programma che si chiamava Mixer di Giovanni Minoli, e poi soprattutto a Blitz, il programma domenicale, andato in onda dall’81 e per i tre anni successivi la domenica pomeriggio su Rai2, che era un po’ il contraltare di Domenica in. Si era creata un’amicizia molto salda. Lui è sempre stato una persona super generosa, entusiasta, attenta all’altro, molto coinvolgente. Aveva una trasversalità assoluta di trattare alla pari i capi di stato e gli ultimi degli umili, perché era nella sua indole. Aveva una speciale attitudine a captare e ad assorbire la luce intorno a sé e a rifrangerla in un momento successivo riportandola nel lavoro e nella vita».
Ecco, che persona era Gianni Minà?
«Era sempre curioso, attento alle persone e ai fatti. Standogli vicino, senza che facesse da Maestro, dava inconsapevolmente lezioni di vita e di lavoro. Tramandava una naturalezza e una tale schiettezza, un entusiasmo contagioso per la vita per le persone, per i talenti, per la convivialità. Tanto è vero che ha sempre potuto contare sulla vicinanza e l’affetto di persone che pure erano considerate irraggiungibili. E conosciamo il lungo elenco di personaggi suoi amici».
La sua mitica agenda, quella che Massimo Troisi diceva di invidiargli...
«Sì, proprio quella. Standogli accanto anche in altre trasmissioni in cui ho collaborato con lui ho avuto l’opportunità di conoscere chiunque, e per mia grande fortuna, gran parte di quell’agenda l’ha passata me. Lui riusciva a dare del tu a chiunque con estrema familiarità, passando dalla politica allo sport, dalla musica leggera al cinema, perché era una persona a cui si voleva bene naturalmente».
Quanti personaggi ha incontrato con lui?
«Con lui incontravi la gente più incredibile, dal poeta Ungaretti a Stefania Sandrelli, la trasversalità era il suo dono. Casa sua era un porto di mare dove incontravi l’ultimo musicista di strada e Joan Baez che gli cantava buon compleanno. A Storie, negli anni ‘90, intervistò il Dalai Lama, il figlio di Kennedy, le star internazionali, e sempre Muhammad Ali che lo considerava un fratello. Con mia grande soddisfazione però anche io gli ho fatto conoscere tanti personaggi del cinema che poi sono diventati suoi amici, come Troisi e Benigni».

Negli ultimi anni la Rai l’aveva dimenticato. Perché?
«Il suo coraggio l’ha portato molte volte a inimicarsi i vertici Rai e quelli della politica. Per esempio durante i Mondiali di calcio in Argentina negli anni Settanta era stato mandato fuori dal paese perché aveva osato fare domande scomode sui desaparecidos. Ha pagato molte volte l’ostracismo anche per l’eccesso del suo entusiasmo e della sua generosità nei confronti del mondo latino-americano. Ricordiamo la sua incedibile intervista a Fidel Castro. Non so se per invidia o per mancanza di capacità di emulazione, molti non gliel’hanno perdonata, nel senso che la famigliarità che lui poteva avere con persone ritenute inaccessibili, probabilmente a qualcuno dava fastidio. La cosa che ho visto da vicino è che però quando arriva lui da qualche parte, i visi della gente si illuminavano. È innegabile che negli ultimi anni la Tv pubblica lo abbia messo da parte e per lui era motivo di grande sofferenza. I rimontaggi che ha fatto di alcuni suoi progetti meriterebbero di essere riproposti e rivalutati come esempio di alto giornalismo».
Cosa le ha insegnato?
«Era sempre se stesso e con il suo modo di essere invitava gli altri a fare altrettanto. Questa è la sua lezione più grande. E poi l’estremo entusiasmo, la gioia di vivere. Vinicius de Moraes, suo grade amico, lo chiamava luna ridens perché era sempre entusiasta. Durante tutti questi anni di grande amicizia - io l’ho visto fino a 10/15 giorni fa - ho conosciuto una persona straordinaria. Con una generosità non richiesta nel senso che per lui era logico e normale fare così, connettere le persone, donare, dare attenzione vera senza secondi fini».

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