Cultura

Tirocinio di scrittura tra memoria e umanità

Mirella Carella

La vita, le storie, la lettura nel nuovo libro di Starnone

«Mi serviva un punto di partenza, ne ho trovati due: la nascita di mio fratello Toni e un litigio notturno tra mio padre e mia madre. La spinta a scrivere è derivata probabilmente da quelle minuscole schegge di memoria».

Così ha inizio L’umanità è un tirocinio (Einaudi editore, 2023, pp. 312, euro 18) di Domenico Starnone, nelle cui pagine si intrecciano i ricordi di una vita, alle storie lette nei libri che lo hanno accompagnato, sedotto, cambiato.

Un autoritratto costruito con ciò che della parola seduce, che è quanto riportato nelle pieghe dei libri, sottolineato, «strappato alla pagina» per conservare il «realmente accaduto».

«Devo ammettere che i libri ridotti in questo stato mi commuovono: quattro righe, uno spazio bianco, un’annotazione a margine, intenzione di scrittura sopraffatta da parole più urgenti». Starnone ci riporta alla parola come folgorazione, arrivata per caso, all’improvviso, fulminea, eppur capace di divenire iniziatica, come lo è stata la parola «vanesia», ascoltata da bambino, pronunciata con impeto da suo padre e di cui avverte, senza conoscerne il significato, il «sapore pregiato».

Di pagina in pagina, prende forma il racconto, anche per mezzo di quegli spezzoni che sembrano senza spessore o negli appunti presi in fretta e mai ordinati e da cui invece, lentamente, si dipana la nebbia e prende corpo un autoritratto frammentato, complesso, picassiano, in cui il punto di vista è molteplice, come molteplici sono i ritratti dei personaggi amati e appresi nel libro Cuore di Edmondo de Amicis, o in Ferito a morte di Raffaele La Capria, o in Adele di Federigo Tozzi (per citarne solo alcuni) che insieme hanno contribuito alla definizione della sua immagine.

E’ una cartografia dai confini incerti, quella che man mano Starnone costruisce, misteriosa anch’essa e sempre in bilico, come appaiono in bilico le parole utilizzate.

Forse per questo Starnone lo definisce un «libro mobile» che prende forma nello smontare, contraddire, smembrare, confondere per divenire al contempo capace di rendere decifrabile, ciò che non lo appare.

Ma è anche un’ispirazione, circa l’approccio alla parola, ed è qui che si manifesta Starnone insegnante, un approccio che non teme di piegare le regole quando occorre, che inventa altre strade, riconoscendo la capacità seduttiva delle «parole che si torcono», senza alcuna paura per la regola, come quando sono i ragazzi a leggerle e ad appropriarsene. E nonostante l’autore scriva: «A volte penso che sono riuscito ad afferrarmi molto più in certi amatissimi libri di altri, che nei miei», noi lettori abbiamo la sensazione di aver compreso, colto, capito e rimesso a posto le tessere del puzzle che ci conducono al ritratto a noi lasciato, non a caso in bianco e nero, al termine del libro.

Alla sua penna, noi potremo aggiungere il colore, ognuno il proprio, per ricominciare il gioco, perché quando il racconto sembra terminato, come per ogni racconto, si può ricominciare daccapo.

Del resto, «l’umanità è un tirocinio», sempre in divenire e dall’esito incerto.

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