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«Nega la tragedia foibe»: esplode il caso Gobetti in Puglia

Leonardo Petrocelli

Lo storico torinese in Puglia per un tour di presentazioni nelle scuole. Insorge la Lega. Oliva: no all’utilizzo politico della storia

Forse aveva ragione Christa Wolf quando scriveva che il passato non solo non è morto, ma «non è nemmeno passato». Si è trasformato piuttosto in un presente di risulta, spesso avvelenato ideologicamente, che usa la storia come un maglio e relega la memoria condivisa fra le utopie per anime belle.

Prova ne sia l’ultima polemica che dal Novecento si è proiettata sulle cronache recentissime di questi giorni. L’ha innescata il volume E allora le foibe? (Laterza), scritto un paio d’anni fa dallo storico torinese Eric Gobetti e prossimo ad essere presentato in scuole e sale consiliari pugliesi su iniziativa dell’Anpi di Bari e Bat. Barletta, Molfetta, Bisceglie e Corato, dal 31 marzo al 2 aprile, le tappe del tour di Gobetti, le cui tesi controverse sui numeri dell’eccidio, sulla sua natura e soprattutto su quell’eccesso di nazionalismo che caratterizzerebbe la Giornata del Ricordo dedicata alle vittime delle Foibe, gli hanno procurato da più parti accuse di «negazionismo», «riduzionismo» e «giustificazionismo». A rincarare la dose, il rimbalzare per il web delle sue foto social con pugno chiuso e bandiera jugoslava alle spalle nonché una costante scia di polemiche che lo accompagna in ogni evento.

L’annuncio delle presentazioni in Puglia ha armato immediatamente la reazione della Lega che, con la deputata Anna Rita Tateo, ha annunciato un’interrogazione parlamentare, definendo «oltraggioso» il consentire «a dei negazionisti di tenere questo genere di conferenze nelle nostre scuole. Gli appuntamenti organizzati dall’Anpi danno risalto a posizioni tipiche della sinistra radicale, da sempre restia al ricordo delle vittime di quest’eccidio».

Da parte sua, però, l’Anpi tiene il punto con il responsabile barese Pasquale Martino che difende la scelta di invitare Gobetti anche in assenza di contraddittorio: «Qui nessuno nega nulla né riduce la portata degli eventi - taglia corto -. Noi garantiamo che si tratterà di un dibattito serio e rigoroso, senza alcun intento propagandistico. Un contraddittorio? È sufficiente la serietà dell’autore».

Di tutt’altro avviso, naturalmente, il «Comitato 10 febbraio» più volte in polemica con lo stesso Gobetti e, anche in questo caso, pronto ad affondare il colpo: «Ognuno può avere le sue opinioni ma qui parliamo di una presentazione a scuola - attacca il presidente nazionale Emanuele Merlino - . I ragazzi si formano sulla base dei libri che leggono e sulle persone che incontrano. E il libro di Gobetti rischia di far pensare loro che l’intera vicenda è legata al fascismo e che tutto quello che è successo è semplice effetto dei vent’anni precedenti. La questione più grave, poi, è quella dei giudizi sull’esodo - incalza - , con 350mila persone che avrebbero abbandonato le loro terre in virtù di una sorta di psicosi collettiva. Sono affermazioni di una gravità estrema. Furono Mattarella e Napolitano a parlare di pulizia etnica e la Giornata del Ricordo non è certo una rivincita fascista».

Dal fuoco della polemica si sfila proprio l’autore, Eric Gobetti, respingendo le accuse e anzi rilanciando la palla nel campo avverso: «Non nego nulla né tanto meno giustifico l’orrore delle Foibe che giudico tale come tutti quelli che caratterizzarono il periodo storico di cui mi sono occupato. Il riduzionismo? I dati che io fornisco sono gli stessi condivisi dagli storici più rigorosi a cominciare da Raoul Pupo, che fu segretario Dc a Trieste. Al massimo il problema è il contrario, assistiamo a un “gonfionismo” che tende a moltiplicare le cifre. E poi bisogna esser chiari: io non ho mai detto che gli esuli fuggirono per una psicosi collettiva. Non è certo quella la motivazione. La psicosi scattò solo dopo come fenomeno di massa». Quanto all’ideologismo che attraverserebbe le sue ricerche, Gobetti replica: «Si tratta di polemiche che mi accompagnano ovunque vada, portate avanti sempre da tre soggetti politici: Lega, Fratelli d’Italia e CasaPound. Accusano me di essere mosso dall’ideologia e poi sono loro a ragionare secondo quei criteri. Mi giudicano per fotografie, come quella con la bandiera jugoslava alle spalle, scattate in vacanza. Ma davvero uno storico si può giudicare da questo? »

Il rimpallo delle polemiche e delle accuse potrebbe continuare all’infinito. Ma è evidente come il nodo non sia tanto nel ballo delle cifre o nell’interpretazione più o meno disinvolta dei dati, quanto piuttosto nell’esito che i duelli rusticani producono sui destinatari delle informazioni. Su questo lo storico Gianni Oliva, autore di numerosi saggi sulla tragedia istriana e con una lunga storia a sinistra, è perentorio: «Conosco bene Gobetti, torinese come me - spiega -. Le tesi esposte nel suo libro non sono sconvolgenti, è più che altro un commento di cose fatte da altri. È piuttosto sconvolgente l’uso che ne viene fatto. Perché i ragazzi non vogliono sapere quanto è cattiva la destra, né assistere a un dibattito politico, ma capire cosa sono le Foibe e perché si è arrivati a quel punto. Poco prima del lockdown mi è capitato di tenere un incontro sul tema a Bologna, invitato dal sindaco. Si scatenò come sempre un putiferio. Poi, dopo aver esposto i fatti con calma, erano tutti d’accordo». Proprio Oliva si è da tempo fatto promotore dell’auspicio che la tragedia delle foibe entri «nella coscienza storica nazionale» sulla scia dell’impegno dei presidenti Ciampi, Napolitano e Mattarella che, negli anni, si sono spesi in prima persona in questo senso recandosi sui luoghi della tragedia e condannando il lungo oblio che accompagnato quei fatti. Il traguardo, comunque, pare lontanissimo. «Sa qual è il problema - conclude Oliva -? Se lei mi chiede quale sia la differenza di visione che Letta, Renzi, Conte e Meloni hanno in merito al Pnrr io non so risponderle. Quando non c’è capacità di progettare il futuro ci si concentra sul passato. Fa ridere l’accapigliarsi della politica su fatti di ottant’anni fa, mettendo bandierine del tutto fuori tempo massimo. Ma questo è ciò che accade. È il passato che non passa perché nessuno sa costruire il domani».

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