La guerra insanguina l’Ucraina - ma anche il Medio Oriente e l’Africa - mentre l’opinione pubblica occidentale riscopre la materialità novecentesca dei conflitti con gli scarponi sul terreno, con un dolore amplificato dalla proiezione digitale e social di bombe e devastazioni. In questo contesto la Chiesa di Roma usa «il linguaggio di Cristo ovvero quello della riconciliazione e della pace», per «smilitarizzare i cuori nel segno di San Nicola»: la riflessione di Padre Antonio Spadaro ricalca la mobilitazione spirituale di Papa Francesco al fine di porre in essere azioni e opere per fermare le armi. Direttore de «La Civiltà Cattolica», rivista dei gesuiti italiani, nonché accademico, Spadaro, tra gli intellettuali più vicini al pontefice, è espressione della più raffinata tradizione della Compagnia del Gesù, che si è caratterizzata per un intenso ruolo di formazione educativa in Puglia e in particolare a Bari, con l’Istituto Di Cagno Abbrescia, centro di cultura animato da intellettuali-docenti di rilievo nazionale come padre Giuseppe Bortone e padre Rodolfo Bozzi.
Padre Spadaro, risuonano i rumori stridenti della «Guerra disumana»: con queste parole Papa Francesco nell’Angelus ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina. A chi si rivolge con forza l’appello del pontefice?
«Francesco è stato chiaro: questa non è una “operazione militare”, come vorrebbe Mosca, ma una guerra. E la guerra è una “pazzia”. Così ha esclamato: “Fermatevi, per favore!”. Ha pure affermato che non ci sono ragioni strategiche che tengano: c’è solo da cessare l’inaccettabile aggressione armata, prima che riduca le città a cimiteri. E alla fine ha lanciato l’appello: “In nome di Dio, vi chiedo: fermate questo massacro!”. Un massacro definito “sacrilego”. Oggi, a nove anni dalla sua elezione, comprendiamo pienamente quanto giusta sia la definizione di “Terza guerra mondiale a pezzi” che il Pontefice ha coniato: una guerra progressiva, che coinvolge altri scenari insanguinati quali lo Yemen, la Siria, l’Etiopia, e che sembra inarrestabile. Francesco si rivolge alle coscienze davanti a un conflitto che non risparmia nessuno, neanche i bambini».
Il Papa ha consacrato all`Immacolato Cuore di Maria la Russia e l’Ucraina. Quale il valore di questo atto solenne?
«Per me il gesto è fortissimo. Davanti all’orrore Francesco ha posto un gesto umile e schiettamente profetico che spezza questa logica perversa: consacrare al Cuore immacolato di Maria la Russia e l’Ucraina. Insieme, come sorelle, e non come nemiche. Per questo al patriarca di Mosca Kirill, col quale ha dialogato da fratello in videoconferenza, Francesco ha detto che “la Chiesa non deve usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù”, che è quello della riconciliazione, della pace e dell’amore. La maternità di Maria è un simbolo forte, che ha echi lontani nella tradizione cristiana, sia cattolica sia ortodossa».
Che ruolo può svolgere la diplomazia vaticana?
«La diplomazia vaticana è sartoriale: non taglia, ma cuce. La Santa Sede si è messa a disposizione per facilitare il dialogo tra le parti, punta alla riconciliazione. Lo sguardo del Papa è pastorale, non genericamente geopolitico. Lui guarda alla povera gente, che è quella che paga il prezzo della guerra, come sempre è stato. Dopo l’Angelus del 27 febbraio aveva detto: “Chi fa la guerra dimentica l’umanità. Non parte dalla gente, non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere”. Rientrano in questa “diplomazia” il fatto che il Papa, compiendo un un gesto inedito, abbia fatto visita all’ambasciatore russo presso la Santa Sede per esprimere la sua preoccupazione. E così l’invio di due cardinali, Czerny e Krajewski, in Ucraina. Così l’aver indetto per il 2 marzo, Mercoledì delle ceneri, una giornata di preghiera e digiuno per la pace in Ucraina. Così avvenne per la Siria il 7 settembre 2013».
In Puglia si auspica anche un intervento della diplomazia religiosa legata a San Nicola, le cui spoglie sono state negli anni scorsi oggetto di culto e devozione a Mosca. Il Santo Myra come apostolo di pace?
«Putin nel suo discorso allo stadio Luzhniki di Mosca ha citato Fëdor Fëdorovič Ušakov, uno storico e invitto ammiraglio dell'era zarista proclamato santo dalla Chiesa ortodossa russa nel 2001. Chiaro il significato simbolico: la guerra in corso sarebbe sotto la protezione di un santo guerriero. Abbiamo invece bisogno di smilitarizzare i cuori, gli animi, le menti, e ovviamente la fede e la preghiera. In questo senso san Nicola potrebbe essere un forte segno di pace e di sincero ecumenismo, oggi quanto mai necessario».
Un conflitto «sacrilego»: la guerra nell’Est Europa riporta al centro del dibattito pubblico la sacralità della vita, dopo molti anni nei quali è stato trascurato lo scontro a bassa intensità che avvelenava l’Ucraina orientale.
«Bisogna fermarsi perché l’escalation potrebbe condurre l’umanità in un vicolo cieco dal quale sarà difficile uscire. Infatti, più crudele sarà la guerra, più il fiume di lacrime e sangue sarà in piena, più sarà tortuoso il percorso di una possibile riconciliazione. Lontana, ma necessaria. Mi ha colpito pure che Francesco abbia fatto esplicito riferimento alla Costituzione italiana per dire che chi ama la pace “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Non avremmo mai immaginato di trovarci con una guerra nel cuore dell’Europa. Siamo stati distratti. Non bisogna lasciare che il fuoco covi sotto la cenere. E oggi bisogna fermare l’escalation che rischia di gettarci nel baratro».
Capitolo profughi. Si registrano posizioni differenti anche nel fronte sovranista e di Visegrad. Ungheria e Polonia sono in prima fila nell’accoglienza e i sovranisti nostrani sono attivissimi nelle iniziative solidali. Siamo di fronte ad un cambio di passo culturale e politico?
«Il Papa ha salutato e ringraziato cordialmente i polacchi che, per primi, hanno sostenuto l’Ucraina, aprendo i confini, i cuori e le porte delle case agli ucraini che scappano dalla guerra. Questa è una grande opportunità per l’Europa, perché riscopra se stessa. Speriamo che non si tratti di una consapevolezza momentanea. Nel passato sovranismi e nazionalismi ci hanno accecato, facendoci chiudere gli occhi davanti a chi fuggiva da altre guerre. Oggi è importante che non si ripeta la distinzione tra guerre di serie A e guerre di serie B. Tra vittime di seria A e vittime di serie B».
L’informazione in presa diretta e i social, tra propaganda e controinformazione, contribuiscono a disumanizzare la percezione della guerra?
«La guerra oggi è anche guerra di informazione e propaganda. Da questo punto di vista sia chi aggredisce sia chi è aggredito cerca di giocare le proprie carte per influenzare l’opinione pubblica. Lo era anche in passato, ma oggi, al tempo dei social, lo è ancora di più. La comunicazione è capillare e istantanea, plasma le coscienze e guida le reazioni e le azioni, l’opinione pubblica. Per questo il Papa ha ringraziato le giornaliste e i giornalisti che per garantire l’informazione mettono a rischio la propria vita. Il servizio dell’informazione ci permette di essere vicini al dramma e valutare la crudeltà di questa guerra. Per questo in Russia Putin ha stretto la comunicazione in una morsa in modo che i russi non sappiano cosa sta accadendo davvero, in modo che la loro coscienza non reagisca davanti all’orrore. L’informazione è un’arma fortissima e può avere più peso delle sanzioni. Per questo, ovviamente, si cerca pure di disinformare».
"La Civiltà Cattolica" ha dedicato l’ultima copertina della rivista alla richiesta del Papa di fermare "la guerra progressiva".
«Sì, per la prima volta dal 1850 La Civiltà Cattolica ha messo sullo sfondo la sua testata. Abbiamo deciso di far spazio all’appello di papa Francesco: Fermatevi! Ci abbiamo messo la “faccia”, diciamo così. La rivista ha pure rilanciato l’appello su tutti i media sociali della rivista con l’hashtag #Fermatevi, soprattutto su Twitter, Facebook e Instagram. Ringraziamo chi lo ha diffuso, unendosi a noi – e sono già tanti – rafforzando così il messaggio. Invito a farlo anche i lettori della “Gazzetta del Mezzogiorno”».
Il presidente ucraino Zelensky ha invitato il papa a Kiev. Può essere un passaggio decisivo verso la pace?
«Per la seconda volta Papa Francesco ha parlato al telefono con il presidente Zelensky. Questo contatto fa parte delle iniziativa del Pontefice per esprimere vicinanza al popolo ucraino e per dare piena disponibilità per fare il possibile per la pace. Il presidente ucraino ha apprezzato la preghiera e la mediazione della Santa Sede per affrontare la drammatica situazione umanitaria. L’ambasciatore ucraino Andrii Yurash ha riferito poi che il Papa sarebbe l’ospite più atteso in Ucraina. A questo proposito bisogna ricordare che Francesco ama toccare le ferite con la propria mano. Pensiamo alla visita a Bangui, nella Repubblica Centrafricana, avvenuta nel contesto di un conflitto. Tuttavia sa che deve arrivare il momento giusto perché la visita sia davvero fruttuosa a tutti i livelli, incluso quello del rispetto delle relazioni ecumeniche. Devono esserci le condizioni. Pensiamo, ad esempio, che la visita nel Sud Sudan che Francesco farà a luglio avverrà 5 anni e mezzo dopo aver detto pubblicamente di voler fare questo viaggio perché adesso ci sonore condizioni. C’è da fidarsi del suo discernimento».