La recensione

Siamo noi i Predatori: l'esordio esilarante e amaro di Pietro Castellitto

Oscar Iarussi

Il film, dal 22 ottobre in sala, è stato premiato a Venezia per la sceneggiatura ed è prodotto dalla Fandango

I PREDATORI di Pietro Castellitto. Interpreti: Massimo Popolizio, Manuela Mandracchia, Giorgio Montanini, Pietro Castellitto, Dario Cassini, Anita Caprioli, Giulia Petrini, Marzia Ubaldi, Vinicio Marchioni, Nicola Ciccariello. Commedia, Italia, 2020. 109 minuti

Il Covid sta rendendo desueta la parola «cinema» nel vocabolario della vita sociale. Eppure i cinema sono aperti e, con il necessario distanziamento e la mascherina, non sono meno sicuri dei ristoranti. Provare per credere, per esempio andando a vedere I predatori di Pietro Castellitto, dal 22 ottobre in sala. È la regia d’esordio di un figlio d’arte, il primogenito di Sergio Castellitto e di Margaret Mazzantini, che sfodera una bella vena caustica nella sceneggiatura, premiata a Venezia nella sezione «Orizzonti», e dimostra di saper orchestrare il nutrito gruppo di bravi interpreti. Merito anche di un rinverdito gusto per il dettaglio, il tic, i tasselli del mosaico «sociologico», che fu uno dei punti di forza della commedia all’italiana, da Monicelli a Scola. Il film del ventottenne Castellitto, che presto da attore indosserà la maglia di Francesco Totti in una serie Sky, è prodotto da Domenico Procacci e Laura Paolucci per Fandango e da Raicinema.

Chi sono i «predatori» del titolo? Siamo un po’ tutti noi, di qualunque estrazione sociale, ceto e classe di appartenenza, incattiviti dalle consuetudini e dai riti di ogni giorno in un Paese evidentemente senza direzione e senza bussola già prima della pandemia. Predatori, ma in fondo anche prede... In particolare, qui vediamo di scena due gruppetti di personaggi romani, una tribù sottoproletaria e un clan altoborghese, parimenti mossi da feroci spiriti darwiniani e pronti a comportamenti canaglieschi. I poveracci hanno una propensione grottesca per il neofascismo, le armi, i soldi facili pur sempre difficili a farsi. Mentre l’élite benestante e colta (medici e registi) è incline ai tradimenti coniugali e ai malinconici diletti della mezza età nelle tenute di campagna con ciacola a bordo piscina, al clou nell’esilarante momento-verità durante un pranzo di famiglia con tanto di poesiola in forma di rap osceno.

La trama prende avvio da una piccola truffa ai danni della madre dei «poveri ma bulli» e, poco dopo, dal torto subito dal rampollo dei ricchi (lo stesso Pietro Castellitto), assistente di filosofia estromesso dall’équipe accademica all’opera per la riesumazione del corpo di Nietzsche! L’esclusione suscita un moto di follia nel giovane, pronto a vendicarsi con un atto estremo, a suo modo nietzschiano, che «coinvolge» i ceffi di periferia. È solo l’inizio di un gioco di cattiverie per cui tutte le certezze si riveleranno infondate, in una galleria di «minima immoralia» che scandisce il divertimento dello spettatore. Si sorride amaro per una favola crudele o commedia nera in cui Castellitto appare, in fondo, più clemente con i brutti sporchi e cattivi di Ostia e delle nuove borgate «nere» che con i «suoi».

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