Serie B
Bari, la resa dei conti: persa anche la faccia
La squadra non ha mai cambiato registro. Tante le partite... uguali mediocrità. Nonostante i molti flop la strada dei playoff è ancora aperta
BARI - Parlare del Bari è diventato il mestiere più semplice del mondo. Spiegarne l’incompiutezza... un gioco da ragazzi. Da agosto a oggi, nulla è mai realmente cambiato. Stessi ingredienti, stessa musica, stessi limiti. Si continua a ripetere che è mancato l’ultimo step. La realtà, però, comincia a essere un’altra. Non crescere è un conto. Peggiorare, tutta un’altra storia. Squadra involuta, incapace di toccare i propri limiti, frenata da una psicologia inconsistente, divorata da quel famoso dovere dell’ambizione che, chi indossa questa maglia, dovrebbe presentare come primo requisito al momento delle firme sui contratti. Una fragilità che provoca fastidio. Insopportabile.
A Cittadella il film di una stagione schizofrenica, migliore dell’anno scorso solo perché in ballo stavolta non c’è l’onta della retrocessione. Sensazione comunque sgradevole, senza se e senza ma. Una partita che racconta tutto. Il Bari è quello visto al «Tombolato». Capace di sembrare credibile ma anche e soprattutto di eclissarsi senza un’apparente motivazione. Se n’è andato un campionato intero a parlare di approcci morbidi, di gestioni senz’anima e dell’incapacità di indossare gli abiti più sporchi. Se batti lo Spezia, dominando la terza forza del torneo, e poi collezioni figuracce nulla ha un senso. E parlare di competitività diventa, sostanzialmente, un esercizio acrobatico. In un campionato dal livello imbarazzante. Al punto che l’impalpabile Bari, contestato e rinnegato da una città intera, ha ancora la possibilità di andarsi a giocare la lotteria dei playoff. Se non è mediocrità questa...
Parlare di questioni di campo, allo stato delle cose, non ha nemmeno più molto senso. C’è il concreto rischio di risultare noiosi. E non ne vale la pena, oggettivamente. Al limite, ci sarebbe da capire cosa sta succedendo all’interno del gruppo. Perché qualcosa è successo, nessun dubbio. Prima e dopo la partita contro il Pisa. Tanto da costringere il presidente Luigi De Laurentiis a scendere in campo nel tentativo di mantenere certi equilibri. Dicunt, sia chiaro. Sennò... apriti cielo, potrebbe scoppiare il finimondo.
E Longo? Non parla più (crudelissima la scelta di presentare Migliaccio nel dopo partita a Cittadella, un galantuomo che non l’avrebbe meritato e a cui spetta invece tanta considerazione, umana prim’ancora che professionale). Una volta senza voce (bah...). Un’altra esentato per via di una squalifica che non prevede l’impossibilità di presentarsi alla conferenza stampa di vigilia. Queste si chiamano scelte, non altro. Da rispettare, certo. Ma anche da valutare, com’è normale che facciano i giornalisti e finanche i tifosi, loro sì la vera parte lesa di tutto questo casino. Cosa può esserci dietro? Anche in questo caso di cose da raccontare ce ne sarebbero. Ma le indiscrezioni, ormai è cosa nota, da queste parti hanno il profumo dell’insubordinazione. A chi o a cosa, poi? Avanti così, dai. Aspettando l’ultima puntata di un campionato in cui s’è visto un po’ di tutto. Un crescendo di contraddizioni che potrebbe non aver concluso il suo percorso.
La sensazione è che il bello debba ancora venire. Si chiama resa dei conti e vedrà tutti, nessuno escluso, costretti ad assumersi le proprie responsabilità. Nel vero senso della parola. E non come fanno talvolta i tesserati, quasi in stile scioglilingua, quando vanno davanti alle telecamere e ai taccuini a giustificare qualche sconfitta da... rosso vergogna. Assumersi le proprie responsabilità non è un esercizio linguistico. Ma comporta una presa d’atto reale della situazione a cui dovrebbero seguire, il condizionale vien sempre in soccorso, fatti concreti. Chi sta nel Bari deve essere uno da... Bari. Dal primo all’ultimo dei tesserati, dai dirigenti fino ai gradini più bassi della scala gerarchica. Ci sono modi e modi di non vincere un campionato. La dignità, il rispetto. E poi una parola spesso dimenticata nel calcio, l’umiltà. Dicono che preceda sempre la gloria. L’impressione è che qui l’abbiano capito in pochi. Che tristezza, ragazzi!