L'intervista

Corvino highlander: «Il Lecce è amore. Con Sticchi Damiani grande sintonia. Lavoriamo per stupire»

Antonio Calò

L’uomo mercato del club salentino ha 75 anni ma non ha perso entusiasmo e motivazioni. «La terza salvezza di fila vorrebbe dire fare un miracolo» 

LECCE - Compirà 75 anni il prossimo 12 dicembre, ma ha un’energia da fare invidia. «Arriva in sede prestissimo e quasi sempre va via per ultimo. Segue e cura ogni minimo dettaglio», dicono di lui in società. Lui è Pantaleo Corvino da Vernole. Si è fatto da solo gradino dopo gradino, partendo dalla gavetta che più gavetta non si può, sino a diventare uno dei più preparati ed abili tra i direttori sportivi italiani. Scopritore di talenti come pochi. Capace di realizzare plusvalenze milionarie in tutti i club con i quali ha collaborato. Dal 2020 è tornato nel suo Salento, a ricoprire il ruolo di responsabile dell’area tecnica del Lecce, fortemente voluto dal presidente Saverio Sticchi Damiani e dagli altri soci. Ci risponde da Cotronei, dalla sede del ritiro della Primavera, dove si è recato per assistere alla prima uscita stagionale dei ragazzi diretti da Giuseppe Scurto.

Quella alle porte sarà la sua cinquantesima stagione da direttore sportivo, sempre sulla breccia. Qual è il suo segreto?

«Saranno le mie nozze d’oro da d.s. e, sul fronte della vita privata, con mia moglie Rina. Supererò le 700 gare in A e vivrò il nono anno in massima serie con il Lecce. Iniziando in Terza categoria con il Vernole, la squadra del mio paese natio, ed arrivando in Champions League con la Fiorentina, vincendo tanto a livello giovanile, ho coronato il sogno che ho cullato da quando, a 16 anni, sono stato costretto ad abbandonare il calcio giocato. Alla base di quanto ho realizzato c’è passione, tanto lavoro, molto sacrificio, bravura e tanta fortuna. Devo un grazie a tutte le proprietà che mi hanno dato fiducia e a chi ha collaborato con me nel corso del tempo».

Chi la conosce bene è convinto che in questa sua seconda avventura con il Lecce ci stia mettendo qualcosa in più, oltre alla consueta professionalità e competenza, che deriva dall’amore per la sua terra. È così?

«Quando nel 2020 è iniziato il mio secondo ciclo al Lecce, su input del presidente Saverio Sticchi Damiani, mi è stato chiesto di portare il club, per quanto di competenza della mia area, in equilibrio finanziario, per poi mantenerlo nel solco della sostenibilità. Non mi è stato chiesto di raggiungere un risultato sportivo in particolare. In maniera probabilmente spregiudicata, quando fui presentato, dissi che il mio intento sarebbe stato anche quello di riportare la società dove l’avevo lasciata 15 anni prima, ovvero in serie A e con la Primavera campione d’Italia e serbatoio della formazione maggiore. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Io sto dando il massimo per ricambiare la fiducia di chi mi ha voluto a bordo e per riportare in alto il nome del Salento, la mia terra. Né potevo tradire i tifosi, della cui passione smisurata, purtroppo, a dispetto dei nostri sforzi, non saremo mai all’altezza».

Che Lecce sta nascendo in vista della stagione 2024/2025?

«Coniugare i risultati sportivi positivi con la sostenibilità del progetto è esercizio complicatissimo. Dopo essere stati promossi in A, ci siamo salvati per due anni di fila. Abbiamo paura delle delusioni e proprio per cercare di evitarle continuiamo a lottare da Davide contro Golia, con la consapevolezza di quanto sia arduo il nostro compito. Siamo la formazione più a sud in Italia in massima serie. Parma, Como e Venezia, le tre neopromosse, hanno alle spalle proprietà ricchissime. Per noi sarà ancora più difficile del recente passato, ma ce la stiamo mettendo tutta per allestire una compagine che lotti strenuamente per cercare di centrare il terzo “miracolo” consecutivo. Di che livello sarà la nostra rosa lo vedremo al termine del mercato e poi, partita dopo partita, sul campo, ma non avremo da rimproverarci nulla perché avremo fatto ogni sforzo possibile».

Come nascono i colpi alla Morten Hjulmand, ovvero portare a Lecce illustri sconosciuti con potenzialità di rilievo, o alla Marin Pongracic, ovvero ingaggiare calciatori di spessore in cerca di rilancio?

«Quando il budget, come nel nostro caso, non permette di puntare su elementi dalle qualità conclamate, bisogna battere i mercati meno conosciuti, sfruttando l’arte dell’intravedere quelle potenzialità che, lavorandoci su, possono diventare qualità. Questo vale per i giovani, ma anche per chi, per i motivi più svariati, sta attraversando una fase critica della carriera».

In passato, ha spesso sottolineato di avere presentato agli atleti “corteggiati”, con foto e video, il territorio salentino, la città di Lecce, il “Via del Mare” ed il calore del tifo. È stato così anche con Balthazar Pierret, Tete Morente, Christian Fruchtl e Kialonda Gaspar?

«Per me questa è una costante. Penso sia importante che il calciatore conosca i luoghi nei quali dovrà vivere e giocare, che abbia presente quanto grande sia il calore dei supporter salentini. Tutto ciò serve anche ad incuriosire i miei interlocutori».

Che campionato di serie A sarà quello 2024/2025?

«Come sempre diviso in tre fasce: le grandi squadre, le medie e poi le piccole, tra le quali figura il Lecce. Il livello si è alzato in quanto le neopromosse, che di solito sono tra i team a rischio, dispongono di risorse ingenti. In quest’ottica basta leggere i nomi dei colpi che hanno sin qui messo a segno in sede di mercato. Sappiamo che sarà durissima, ma noi siamo più che mai decisi a lottare».

Il Lecce non ha mai ottenuto tre salvezze consecutive in massima serie. Sarà la volta buona?

«Non ho la sfera di cristallo per saperlo. La cosa certa è che la inseguiremo con tutte le nostre forze. Noi della società saremmo felici di scrivere un’altra bella pagina di storia insieme al nostro popolo. Ci impegniamo ogni giorno per questo».

Sin dal suo arrivo a Lecce ha puntato a migliorare le strutture. Ora è in cantiere la costruzione del centro sportivo di proprietà del club. Che benefici garantirà?

«Da subito, con il presidente Sticchi Damiani, ci siamo posti una serie di obiettivi. Tra questi quello relativo alle strutture ed alle infrastrutture che andavano migliorate sino a dotarci di un centro sportivo di proprietà. Averlo significherà potere contare su un vero e proprio cuore pulsante del nostro sodalizio perché permetterà a tutte le formazioni, da quella maggiore a quelle del vivaio, di lavorare nel medesimo impianto, concentrando in un unico luogo le energie, ottimizzando l’impiego delle risorse umane. Quando lo avremo a disposizione raggiungeremo un traguardo strategico. In attesa dell’opera più importante, ci siamo mossi con interventi mirati sugli spogliatoi dello stadio, allestendo una grande ed attrezzata palestra ad Acaya, acquistando un pullman, sistemando i servizi del “Via del Mare”, del campo di Acaya e del Deghi Center che ospita la Primavera. Attraverso i fondi stanziati in vista dei Giochi del Mediterraneo in programma a Taranto, inoltre, sono stati intercettati finanziamenti rilevanti per tutta una serie di interventi allo stadio e siamo in attesa di sapere se, in questo ambito, coroneremo anche il sogno della copertura del “Via del Mare”. In questo percorso, la società ha avuto un ruolo-chiave, in termini di progettualità, ma anche interloquendo con tutte le istituzioni coinvolte».

Tra lei e il presidente Sticchi Damiani sembra esserci un grande feeling. Da cosa nasce?

«Il nostro rapporto è datato, sincero e di totale stima. Ero amico di Ernesto, il papà di Saverio. Ci parliamo e ci confrontiamo quotidianamente su ogni argomento con la massima trasparenza, senza tralasciare alcun dettaglio. Le nostre idee coincidono quasi sempre. Per i traguardi che inseguiamo, siamo entrambi dei visionari».

Stanti i risultati negativi collezionati negli ultimi anni dalla nazionale maggiore in molti ritengono che in Italia, nel mondo del calcio, giochino troppi stranieri. Cosa ne pensa?

«Se si vuole proporre un calcio sostenibile, il vivaio è il serbatoio per il futuro, soprattutto per le piccole società come la nostra in cui le risorse non possono e non devono diventare sprechi e l’equilibrio di bilancio conta tanto quanto il risultato sportivo, se non di più. Viviamo in un mondo globalizzato che garantisce la libera circolazione delle merci e delle persone. Perché non dovrebbe valere per l’industria-calcio che contribuisce in maniera significativa all’economia nazionale e a maggior ragione per i piccoli club come il Lecce? Personalmente ho sempre cercato innanzitutto le potenzialità nei ragazzi salentini e pugliesi, ma se non le intravedo o se i sodalizi più blasonati se ne assicurano le prestazioni perché hanno appeal e fondi, ho l’obbligo di rivolgermi ad altri mercati. Per crescere, tra l’altro, i giovani hanno bisogno di scendere in campo, ma non tutti hanno il coraggio di dare loro il giusto spazio».

Cosa pensa della risposta del popolo salentino alla campagna abbonamenti lanciata dal Lecce?

«I nostri tifosi sono straordinari. Ci fanno sentire la loro passione in casa come in tutti gli stadi d’Italia».

Privacy Policy Cookie Policy