il caso

Brindisi e quei post di sostegno ai condannati: il consenso alla mafia corre sui social

fabiana agnello

I messaggi apparsi dopo la sentenza del processo nato dall’operazione «The wolf» che sgominò il clan Lamendola-Cantanna. Libera: «Contrastare la normalizzazione della criminalità»

BRINDISI - «Io sto benissimo, non sono triste. Conduco una vita normale come la conducevo fino a martedì. Anzi, ti devo dire la verità, mio marito, sabato, ultimo giorno di colloquio che abbiamo fatto, mi ha detto “non ci mettere troppo il pensiero perché io già immagino come andrà”. E così è stato» .

Sono le parole pronunciate in un video postato su TikTok da una delle mogli dei 27 imputati condannati in primo grado nel processo The Wolf. Rispondevano a vario titolo di associazione per delinquere di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi da fuoco e da guerra, violenza privata, lesioni personali, estorsione, ricettazione, danneggiamenti, tutti aggravati dal metodo mafioso.

Alla donna, di San Vito dei Normanni, una follower (ne vanta circa 200mila) ha scritto che si notavano i suoi «occhi spenti» per la nuova condanna del marito, già in carcere per altra vicenda, incoraggiandola ad «avere forza e pazienza perché la galera è di passaggio».

È solo uno della pioggia di commenti arrivati sotto ai video pubblicati dalla moglie dopo aver comunicato sul social che il marito è stato condannato a dieci anni: «Auguro agli ospiti dello Stato una presta libertà», «Sbagliare è umano», «Bellissima sta coppia, torneranno presto tutti forti», «Grande signora onore per lei orgoglio per suo marito». E sotto a un video in cui è presente il marito durante un colloquio in carcere, è questo il tenore dei commenti: «Quest’uomo ha gli occhi buoni, si legge tanta sofferenza»; «Non so perché sta in prigione, ma ha il viso di un uomo buono»; «Che peccato, quando si accaniscono non c’è niente da fare questa volta non lo meritava»; «Un abbraccio da Villa Castelli e una presta libertà a tuo marito».

Affermazioni che confermano il fenomeno del consenso sociale alla criminalità, che oggi si esprime attraverso i social network. È il consenso che rende sempre più forti i criminali e i mafiosi che proliferano online facendo leva su stimoli visivi, sonori e comportamentali familiari a chi usa i social. E si riconoscono perché utilizzano un linguaggio tutto loro fatto di emoticon come le catene, i cuori e i leoni. Riescono a influenzare grazie a questo approccio e divengono virali e famosi, incrementando follower.

È il consenso sociale, nel vasto panorama dei social media, che esprime, attraverso un semplice like, l’approvazione ai comportamenti dei criminali, alle loro vite, alle loro azioni e ai loro successi. L’adulazione alimenta l’illusione di un’identità criminale, glorifica il crimine, contribuendo a diffondere idee deformate di potere e di rispetto.

Eppure, nello stesso contesto, c’è un messaggio di speranza che non viene dalle persone conniventi e omertose che hanno subito pressioni e violenze dal clan Lamendola-Cantanna, non viene dalla Regione Puglia, costituitasi tardivamente parte civile nel processo, né dal comune di San Vito dei Normanni. Ma arriva dall’associazione Libera, unica costituitasi parte civile e che è stata risarcita con centomila euro.

Il sodalizio fondato da don Ciotti, che promuove la cultura della legalità e la lotta alle mafie, ha ringraziato il complesso lavoro svolto dai carabinieri della Compagnia di San Vito dei Normanni, coordinati dal pm antimafia Carmen Ruggiero e dal gip Francesca Mariano, oggi entrambe sotto scorta per le minacce ricevute.

«Da molti anni - sottolineano da Libera Brindisi - l'associazione porta avanti in tutto il territorio provinciale un forte impegno per il cambiamento e per la difesa dei diritti delle persone, sia a livello educativo che culturale e sociale, e per tale motivo ha ritenuto fosse importante costituirsi - restandone l’unica - parte civile nel processo. L’associazione Libera è convinta che sia necessario alzare il livello di attenzione e di mobilitazione sociale per evitare ogni infiltrazione e riorganizzare delle mafie, contrastando l'indifferenza, la rassegnazione, la normalizzazione della loro presenza nel territorio e supportando la cittadinanza a riprendere voce e a riconquistare i propri spazi di libertà e di partecipazione».

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