Il caso
Brindisi, i medici del 118: «Al nostro arrivo Giampiero Carvone era già in fin di vita»
Fu ucciso a 19 anni nel 2019, con tre pistolettate alla testa
BRINDISI - In aula la mamma, il papà e la nonna di Giampiero Carvone, ucciso a 19 anni a colpi di pistola, nella notte tra il 9 e il 10 settembre 2019, davanti al portone della sua abitazione, in via Tevere. Hanno ascoltato in silenzio le testimonianze che la dottoressa del 118 e uno degli agenti della sezione Volanti hanno consegnato ai giudici togati e popolari. Racconti sugli ultimi istanti del ragazzo, morto poco dopo l’arrivo in ospedale per le lesioni provocate dai proiettili. Racconti confluiti nel fascicolo del processo sull’omicidio del 19enne, che si celebra davanti alla Corte d’Assise presieduta da Maurizio Saso.
«Non era cosciente, era agonizzante, lo portammo subito in ospedale in codice rosso», ha detto il medico del 118 che intervenne per soccorrere Carvone. «Venimmo chiamati dalla centrale operativa per una sparatoria e quando arrivammo sul posto, trovammo un ragazzo per terra», ha detto la dottoressa rispondendo alle domande degli avvocati Cosimo Lodeserto ed Emanuela De Francesco, difensori di Giuseppe Ferrarese, 27 anni, brindisino, unico imputato per l’omicidio. Ferrarese è ristretto in carcere dal 27 giugno 2022. L’udienza di ieri mattina è stata dedicata all’ascolto dei testi della difesa.
Nella ricostruzione della Dda di Lecce, l’omicidio di Giampiero Carvone sarebbe stato premeditato e aggravato anche dai futili motivi e dell’aver agevolato l’associazione mafiosa Sacra corona unita. Secondo l’accusa formulata dalla pm Carmen Ruggiero, il 19enne sarebbe stato «promesso ad Andrea Romano», capo dell’omonimo clan attivo nel rione Sant’Elia, nel frattempo diventato collaboratore di giustizia e ascoltato nel processo con la formula dell’incidente probatorio. Carvone avrebbe agito come «cane sciolto, fuori dalle regole e in violazione del vincolo di omertà» e sarebbe stato ucciso perché avrebbe indicato Giuseppe Ferrarese come suo complice «nel furto dell’auto», avvenuto la mattina precedente.
La dottoressa non ha ricordato quale fosse la posizione del ragazzo, ma rispondendo al presidente della Corte sui parametri vitali, ha sottolineato che la situazione «non era facile» perché «non era cosciente durante il trasporto in ospedale».
«Siamo scappati in ospedale», ha detto l’autista dell’ambulanza. «Siamo scappati subito dopo aver messo il paziente sulla barella».
Ascoltato anche uno degli agenti della sezione Volanti, che era in servizio quella notte: «Quando arrivammo sul posto, trovammo un ragazzo per terra in una pozza di sangue e un uomo, poi identificato nel padre, che lo stava soccorrendo in attesa del 118». L’agente della polizia di Stato ha anche riferito che il ragazzo si trovava in «posizione prona, perpendicolare rispetto alla facciata del condominio, a distanza di 3-4 metri. Aveva la testa rivolta verso la strada».
Le domande sulla posizione in cui venne trovato Carvone, come ha spiegato il presidente della Corte, sono state necessarie perché il decesso avvenne in ospedale. «La parte del corpo più vicina al portone, erano i piedi», ha detto il poliziotto che poi ha confermato il ritrovamento, sull’asfalto, di «tre bossoli, sotto il tunnel». L’attività di repertazione venne seguita dagli agenti della Mobile e della Scientifica.
L’imputato sarà interrogato il 9 luglio. Il 19 dicembre scorso, in udienza, ha rilasciato dichiarazioni spontanee e ha ammesso di aver sparato, ma non per uccidere, puntando alle caviglie di Carvone.