operazione synedrium

Brindisi, i «pizzini» confermano «un sodalizio di stampo mafioso»

Stefania De Cristofaro

La sentenza della corte d’appello. Romano è attendibile: dopo aver fatto «mea culpa» ha svelato ulteriori dettagli sugli affiliati al suo gruppo

BRINDISI - Il sequestro di diversi «pizzini» dimostra in maniera «inequivocabile l’esistenza di un sodalizio di stampo mafioso» e «consente l’individuazione di larga parte degli associati».

Lo scrive la Corte d’Appello di Lecce nelle motivazioni della sentenza depositate di recente, dopo la pronuncia del 27 giugno scorso, nei confronti di 19 brindisini imputati, a diverso titolo, e condannati con rito ordinario per associazione di stampo mafiosa e traffico di droga, dopo la conclusione delle inchieste coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia salentina e chiamate convenzionalmente «Synedrium» e «Fidelis», sfociate nei blitz dei carabinieri a febbraio 2020.

Per la Corte, presieduta da Nicola Lariccia, non ci sono dubbi «sulla valenza istruttoria non comune» dei fogli, scritti per lo più in stampatello, trovati dai militari a novembre 2014 durante l’indagine avviata all’indomani dell’omicidio di Cosimo Tedesco, 52 anni, ucciso a colpi di pistola, il primo novembre 2014 in un appartamento di un condominio in piazza Raffaello a Brindisi. Il fatto di sangue avvenne dopo la festa di Halloween organizzata per il compleanno di una bambina di tre anni, in seguito a litigio per affermare l’onore leso in un particolare contesto socio-culturale.

I fogli furono sequestrati «nei confronti di Giuseppe Prete e Luigi Carparelli, sodali prossimi ai latitanti Andrea Romano e Alessandro Polito». In quel periodo Romano e Polito avevano lasciato Brindisi consapevoli del fatto che fossero ricercati per l’omicidio di Tedesco, per il quale sono stati entrambi condannati al carcere a vita in via definitiva. Tutti e due sono ristretti in una località protetta essendo collaboratori di giustizia: Polito ha seguito la decisione di Romano, datata 18 dicembre 2020, e ha iniziato a rendere dichiarazioni ai pm della Dda di Lecce il 16 marzo 2021.

Prete e Carparelli furono fermati mentre uscivano dall’abitazione di Cosimo Remitri dai militari dell’aliquota operativa della Compagnia dei carabinieri di San Vito dei Normanni. «Nonostante il tentativo di Prete di disfarsene», furono recuperati ed emersero i «riferimenti all’attività di spaccio di droga», poi ricostruita grazie alle intercettazioni, sia telefoniche che ambientali. L’ascolto delle conversazioni, infatti, portò ad accertare che si trattava di «ordini e indicazioni di Andrea Romano trasmetteva ai suoi sodali» e che facevano riferimento «alla raccolta di denaro, provento di attività illecite poste in essere dal gruppo».

«Riunitevi tutti e fate soldi che io sto provvedendo per altro», era scritto su un foglio. E poi. «Il resto fate voi, avete il mio via». Per la Corte, «deve certamente ritenersi che l’indagine abbia posto in luce l’esistenza di tutti gli indici sintomatici del delitto associativo contestato». Romano, dopo aver fatto «mea culpa» ha svelato ulteriori dettagli sugli affiliati al suo gruppo, sui ruoli e sulle attività svolte rispondendo alle domande dei magistrati della Dda. E quei verbali sono stati ritenuti dalla Corte d’appello attendibili.

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