la storia

Barletta, parla la madre di Francesco Diviesti: «Chiediamo verità sull’omicidio»

Viviana Minervini

Il 26enne barlettano fu trovato morto crivellato di colpi e carbonizzato il 29 aprile in un rudere di campagna tra Canosa e Minervino Murge

«Francesco ci manca moltissimo, pensare di dover passare il Natale senza di lui è un pensiero che mi fa davvero male: conoscere la verità, avere delle risposte, non porterà certo mio figlio a casa, ma servirà a darci pace». A parlare ai nostri taccuini è Maria Marzocca, madre di Francesco Diviesti, il 26enne barlettano ritrovato senza vita, crivellato di colpi e carbonizzato, in un rudere di campagna tra Canosa e Minervino Murge, il 29 aprile scorso, quattro giorni dopo l’omicidio.

A distanza di quasi sette mesi, la perizia genetica forense disposta dal tribunale di Bari ha fornito alcuni riscontri. L’11 novembre scorso il tenente colonnello Cesare Rapone, in servizio presso il Ris di Roma, ha depositato l’esito dell’incarico ricevuto il 18 agosto dal gip Giuseppe De Salvatore, nell’ambito del procedimento penale a carico di cinque indagati: Igli Kamberi, 40 anni, albanese (unico arrestato a luglio scorso per traffico internazionale di droga), Nicola Dibenedetto, 21 anni, Saverio Dibenedetto, 57, Antonio Lanotte, 25, tutti di Barletta, e Francesco Sassi, 54, residente a Minervino Murge.

L’incarico, richiesto dal pm e considerato irripetibile per via della natura dei reperti da analizzare, prevedeva accertamenti su bicchieri, tracce ematiche, bossoli – elementi trovati all’interno di una villa abitualmente frequentata dagli indagati - e sulla Renault Captur sequestrata a maggio.

La perizia, dalle analisi dei marcatori genetici, ha accertato sostanza ematica «pienamente concordante con il profilo della vittima» su una delle ogive ritrovate. Nessuna traccia rilevante è stata ritrovata sui bicchieri, mentre sull’auto sono stati ottenuti «profili genetici misti molto complessi, generati dal contributo di molte persone».

Secondo gli inquirenti, l’omicidio – aggravato dal metodo mafioso – potrebbe essere maturato in un contesto legato al traffico di droga. Francesco, come emerso dalle indagini, avrebbe frequentato persone coinvolte nel piccolo spaccio e sarebbe rimasto invischiato in una situazione più grande di lui, forse legata anche a un consumo personale.

«Avevo notato un cambiamento in mio figlio, mesi prima. Era diventato nervoso, sfuggente, ma non ho avuto il tempo per comprendere cosa gli stesse accadendo. Forse non aveva capito la pericolosità di quello che stava facendo. Noi siamo brave persone, fuori da certi ambienti, abbiamo fatto il massimo per lui, ma nessuno poteva prevedere che, magari, potesse incappare in amicizie sbagliate».

«Tutti sanno cosa è successo quella notte, ma nessuno si fa avanti. Noi ci stiamo facendo forza anche grazie al sostegno del nostro legale. In città sicuramente c’è un clima omertoso, ma capiamo anche che c’è tanta paura perché si tratta di persone pericolose, che sono arrivati a fare così male a mio figlio. Non è stato solo pestato o sparato, è stato ammazzato brutalmente, bruciato, cancellando ogni traccia persino del suo volto».

E conclude, con voce spezzata: «Vogliamo la verità, solo questo. Perché in qualsiasi giro fosse finito, niente poteva autorizzarli a toglierli la vita in quel modo».

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