Il caso

Caracciolo, il processo per corruzione: «L'ex assessore Pd promise di trasferire il dirigente che truccò l'appalto»

massimiliano scagliarini

Ascoltato in aula il colonnello Leo che ha condotto l'indagine coordinata dalla pm Toscani. La Procura: negli sms le prove dei rapporti illeciti

In cambio dell’intervento per favorire l’aggiudicazione di un appalto da 5,8 milioni all’impresa di Massimo Manchisi, l’allora dirigente comunale Donato Lamacchia avrebbe ottenuto da Filippo Caracciolo la promessa di una «sistemazione lavorativa» all’Ager, l’Agenzia regionale dei rifiuti, così da potersi allontanare da Barletta dove i rapporti con l’allora sindaco erano pessimi. È il tema emerso ieri davanti alla Prima sezione del Tribunale di Bari (presidente Perrelli, Coscia, Rubino) dove è stato ascoltato il colonnello Giulio Leo, l’ufficiale della Finanza che all’epoca ha condotto le indagini coordinate dalla pm Savina Toscani.

Il processo è stato aggiornato al 2 dicembre per il controesame dell’ufficiale da parte dei difensori degli imputati. Ieri, rispondendo alle domande della pm, Leo ha fatto emergere la possibile contropartita della corruzione che viene contestata a Caracciolo (difeso da Michele Laforgia) e Lamacchia (avvocati Ruggiero Sfrecola e Claudio Minichiello), dopo che è caduta per prescrizione l’ipotesi di turbativa d’asta. In sostanza - questa la tesi d’accusa - Caracciolo avrebbe deciso di aiutare Manchisi per ottenere da lui un «supporto elettorale» in vista delle elezioni politiche 2018, e avrebbe chiesto una mano in questo senso a Lamacchia promettendogli un trasferimento poi mai avvenuto.

Leo ha raccontato che il presunto accordo corruttivo si sarebbe perfezionato il 3 novembre 2017 durante il pranzo al Tabula Rasa di Bari, pranzo che i finanzieri seguirono fingendosi avventori, sedendosi al tavolo accanto e prendendo appunti sui tovaglioli...

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