La sentenza

Barletta, occupò una casa. «Non ha alcun diritto a restare»

Nico Aurora

Rigettato da Tar e Consiglio di Stato la domanda della donna

BARLETTA - Era in uno stato di profondo bisogno sociale quando, 13 anni fa, occupò abusivamente un immobile. Ma poi ha percorso tutte le tappe possibili fino al Consiglio di Stato, anche al costo di importanti sacrifici economici, per provare, invano, a trasformare quella occupazione in proprietà legalmente riconosciuta.

È il destino toccato ad una donna di Barletta, della quale la Quinta sezione del Consiglio di Stato (presidente Lotti, estensore Santini) ha respinto l’appello proposto per la riforma della sentenza con cui il Tar Puglia, nel 2022, aveva allo stesso modo rigettato il ricorso della odierna appellante contro il Comune di Barletta, che non le aveva riconosciuto il diritto a restare in quelle mura.

La domanda originaria fu inviata all’indirizzo di Palazzo di città che come detto, non meno diversamente dai giudici che poi si sarebbero espressi, aveva respinto l’istanza per assenza del presupposto temporale, vale a dire l’occupazione abusiva dell’immobile per almeno un triennio precedentemente all’entrata in vigore della legge regionale numero 10 del 2014.

Il richiamo a tale deliberato dell’assemblea pugliese è doveroso nella misura in cui quella legge ha modificato lo scenario delle occupazioni abusive, consentendole a nuclei familiari con ultra 65enni e famiglie con redditi non superiori a 13.000 euro. Ma la legge regionale non era retroattiva e allora la donna impugnava la determinazione dirigenziale di rigetto del comune di Barletta presso il Tar, lamentando soprattutto l’assenza di una firma autografa nel provvedimento e, di conseguenza, profilandone la nullità.

Il Tar, invece, aveva riconosciuto quel provvedimento come ugualmente attribuibile alla pubblica amministrazione, oltre a fatto che l’occupante non aveva fornito la benché minima dimostrazione circa l’abusiva occupazione dell’alloggio nel triennio precedente all’entrata in vigore della legge regionale.

Il Consiglio di Stato, esprimendosi all’esito della pubblica udienza dello scorso 3 ottobre, ha confermato la validità del provvedimento amministrativo poiché ne resta assolutamente certa la provenienza e soprattutto, allo stesso modo, è rimasta generica la circostanza per cui l’appellante veniva invitata a documentare meglio l’occupazione a partire almeno dal 2011.

Porte chiuse e casa persa, dunque, con l’unica marginale soddisfazione per la donna della compensazione delle spese di lite, stante la peculiarità della questione esaminata.

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