Appello a ottobre
«Ecco perché Terrone va condannato», il datore di lavoro di Paola Clemente assolto in primo grado
La 49enne tarantina bracciante agricola è deceduta in un vigneto di Andria il 13 luglio 2015 a causa di un infarto
TRANI - Comincerà il 17 ottobre il processo d'appello nei confronti di Luigi Terrone, imprenditore agricolo accusato di omicidio colposo per la morte di Paola Clemente, la 49enne tarantina bracciante agricola, deceduta in un vigneto di Andria il 13 luglio 2015 a causa di un infarto. Dopo l'assoluzione sancita in primo grado, il pm di Trani Roberta Moramarco ha infatti impugnato il verdetto sostenendo che la morte della donna fu «la conseguenza di una cascata di eventi, l'ultimo dei quali consistito nella mancanza di una idonea "catena della sopravvivenza"».
Nella sentenza, il giudice Sara Pedone, aveva sostanzialmente spiegato che anche in presenza di informazione, formazione e misure di protezione ai lavoratori, Paola Clemente sarebbe comunque deceduta: per il magistrato, infatti, anche se è «indubbio» che l'imputato non abbia adempiuto agli obblighi verso i lavoratori, è «altrettanto vero» che «non si vede come siffatte procedure avrebbero potuto influenzare il decorso degli eventi che hanno poi portato alla morte di Paola Clemente».
Ma per la procura di Trani questa motivazione «appare, tuttavia, contraddittoria ed illogica». E nel suo ricorso il pubblico ministero Moramarco ha sostenuto che il giudice «ha deciso di assolvere l'imputato per il delitto a lui ascritto» perché ritenuta «carente la prova» del nesso causale tra le condotte contestate all'imputato e la morte della Clemente «evidenziando la presenza di ragionevoli dubbi circa la reale efficacia condizionante delle omissioni riscontrate», ma per l’accusa, la situazione è ben diversa: il decesso della donna sarebbe legato a diversi fattori riconducibili alle condotte di Terrone e tra queste «l'omessa predisposizione di procedure di primo soccorso che consentissero l'attivazione precoce e tempestiva dei primi due anelli della catena dell'emergenza che, in attesa dell'arrivo del soccorso avanzato, rappresentano un momento chiave per permettere la sopravvivenza dell'infortunato».
Il pm Moramarco ha così ricordato come i periti abbiano affermato che «pacificamente» la donna presentava «importanti fattori di rischio specifico per cui il suo avvio al mondo agricolo doveva essere, almeno in fase pre-assuntiva, meglio stratificato»: in sostanza l'assenza di una visita che accertasse le condizioni di salute della donna è stata una concausa del decesso attribuibile all’imputato. «Era, pertanto, doveroso - scrive il pm - per il datore di lavoro, come riconosciuto dallo stesso giudice, sottoporre i lavoratori, tra cui Paola Clemente, a visita medica preventiva m considerazione dei rischi connessi alla mansione dell’acinellatura». Non solo. Per l’accusa anche i soccorsi prestati dopo il malore della donna hanno contributo al decesso: «Non vi erano addetti al primo soccorso in loco, né erano state predisposte dal datore dì lavoro - si legge nella sentenza - procedure in materia di pronto soccorso e di assistenza medica di emergenza»: un fatto «ancor più grave – conclude il pm - in considerazione del fatto che il luogo di lavoro si trovava in posizione isolata e distante dai centri di partenza/arrivo dei mezzi di soccorso».
Terrone, difeso dagli avvocati Bepi e Angela Maralfa, poco dopo l'uscita del verdetto ha evidenziato di non essere mai stato il datore di lavoro della Clemente perché «in occasione dell’attività di acinellatura del luglio 2015, mi sono rivolto – spiegò attraverso il suo legale - a una agenzia interinale per il reclutamento del personale» e «le indagini dimostrarono – aggiunse le responsabilità dell’agenzia, tanto alcuni degli indagati furono arrestati e sono ora a processo».
Tesi che ora dovranno nuovamente scontrarsi in aula in cui daranno battaglia anche gli avvocati Giovanni Vinci e Antonella Notaristefano che rappresentano i familiari della 49enne.