Il processo
Canosa, omicidio Vassalli: «È stato Zagaria me lo ha detto mentre eravamo in cella»
La testimonianza di Vincenzo Porcelli, detenuto per 18 giorni con uno degli imputati. Le accuse: la vittima sarebbe stata uccisa per motivi passionali
CANOSA DI PUGLIA - Ha confermato di aver ricevuto la confessione di Cosimo Zagaria, suo compagno di cella per 18 giorni nel carcere di Salerno: «È stato lui ad uccidere Giuseppe Vassalli». Lo ha ribadito ieri nell’aula di Corte d’Assise di Trani Vincenzo Porcelli, sentito come testimone nell’ambito del processo sui casi di lupara bianca a Canosa. L’uomo, attualmente detenuto nell’istituto penitenziario campano, si è collegato con la Corte in videoconferenza.
Alle domande del pubblico ministero della Dda Luciana Silvestris ha risposto senza esitazione. L’imputato Cosimo Zagaria ha condiviso con lui la cella dal 22 novembre al 10 dicembre 2022. E in questo lasso di tempo sembra che i due fossero entrati molto in confidenza, al punto che Zagaria gli avrebbe fatto delle importanti rivelazioni. Oltre ad avergli raccontato le vicissitudini giudiziarie passate, gli avrebbe detto di essere stato l’autore dell’omicidio Vassalli, insieme ad altre quattro o cinque persone delle quali però non ha saputo fornire le generalità. Ha fatto riferimento anche alle modalità, e al movente: Vassalli avrebbe infatti intrattenuto una relazione con una ragazza che in passato era stata legata a Zagaria, contro il parere di quest’ultimo. Un delitto passionale, dunque, così come già emerso dalle indagini condotte dal locale commissariato.
Secondo quanto emerso dalle indagini, Vassalli era piuttosto inviso a Zagaria, che lo avrebbe anche minacciato di morte se non avesse posto fine alla relazione con la sua ex fidanzata. La seta del 18 agosto 2015 la vittima - secondo la Procura - sarebbe stata attirata in una trappola. Gli sarebbe stato detto che in realtà c’era un progetto per uccidere lo stesso Zagaria, ma giunto sul posto sarebbe stato sparato proprio da quest’ultimo. Il cadavere poi bruciato e le ossa disperse.
Ma l’udienza di ieri rischiava di non celebrarsi per una circostanza a dir poco singolare. L’avvocato Cicoria, difensore di Cosimo Damiano Campanella, ha comunicato al presidente Luca Bonvino di non riuscire, da almeno un mese, ad avere colloqui telefonici con il proprio assistito, recluso nella casa circondariale di Trapani. Un diniego inspiegabile, a detta del legale, nonostante le numerose pec inviate all’istituto penitenziario, evidenziando come di fatto si fosse concretizzata una lesione del diritto di difesa. A quel punto, il presidente della Corte ha disposto che in quel momento l’avvocato potesse interloquire con il proprio cliente in videoconferenza, liberando completamente l’aula per il tempo necessario del colloquio.
Il processo riguarda l’omicidio di Sabino D’Ambra, ucciso nel gennaio 2010 all’età di 34 anni perché ritenuto confidente della polizia; quello di Giuseppe Vassalli, ucciso nell’agosto 2015 sia per aver intrattenuto una relazione con la fidanzata di Zagaria che per essersi messo in proprio con l’attività di spaccio. Infine quelli di Alessandro Sorrenti, 26 anni, e Sabino Sasso, 21, scomparsi a dicembre del 2003 perchè «volevano comandare sui traffici illeciti».
La prossima udienza è stata fissata per venerdì prossimo, quando testimonieranno alcuni poliziotti del commissariato di Canosa. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Giovan Battista Pavone, Sabino Di Sibio e Pietro Stella; i familiari delle vittime sono costituiti parte civile con l’avvocato Mariangela Malcangio mentre il comune di Canosa è rappresentato dall’avvocato Tullio Bertolino.