Il caso
«Siamo perseguitati dal rapinatore»: lo sfogo della farmacista di Barletta dopo il terzo colpo in 2 mesi
La figlia Sara ha scritto anche al ministro dell’Interno Lamorgese raccontando quello che avviene in un clima di terrore e paura
Tre rapine in poco più di due mesi, la prima il 22 giugno, la seconda il 28 luglio e l’ultima, giovedì scorso, 8 settembre, sempre alla stessa ora, messe a segno, pare, dalla stessa persona che, a volto coperto e armato, le prime due volte con un coltello e due giorni fa con un cacciavite, entra, minaccia, prende il denaro, quasi duemila euro a colpo, e indisturbato va via, dopo avere seminato il terrore.
Accade a Barletta, nel cuore del popoloso quartiere Borgovilla, in via Paganini, alla farmacia «Santa Maria Goretti», della dottoressa Agata Giustina Fontò. In quella farmacia, in una strada stretta e con un asilo nido di fronte, oltre alla titolare lavorano altre quattro farmaciste, fra cui sua figlia 28enne, Sara Galati, agli esordi della sua professione e, anche, dell’impatto con la criminalità.
È stata proprio lei, dopo il terzo episodio, a prendere la decisione di rendere pubblico quanto accaduto e a scrivere ai rappresentanti delle istituzioni, il ministro dell’interno Lamorgese in primis ma anche al procuratore di Trani Renato Nitti, ai vertici provinciali delle forze di polizia, al Prefetto Riflesso, al presidente della regione Puglia Michele Emiliano e al sindaco di Barletta Cosimo Cannito. Questo perché, nonostante le denunce, i rilievi della scientifica, le telecamere e tutto quanto si possa immaginare, quanto accaduto si è ripetuto destando uno sconforto vicino alla disperazione.
«Non saprei descrivervi bene cosa si prova a subire una rapina a mano armata – scrive Sara Galati - e mi auguro solo che voi non siate mai stati vittime di tanta violenza.
Il tempo scorre lento, dice, “due o tre minuti sembrano un’eternità e ogni gesto, ogni parola, rimane un trauma scalfito nella tua memoria, per molto, moltissimo tempo, forse per sempre. Quando tutto finisce, rimangono solo il disordine, le lacrime, la frustrazione e un senso di impotenza».
E poi affonda: «Ora chiedo a voi: come non sentirsi abbandonata dallo Stato? Come sentirsi tutelati dalle istituzioni se per tre volte lo stesso individuo viene a rapinarvi mentre state svolgendo onestamente il vostro lavoro? E ancora, come guardare negli occhi ogni volta gli stessi poliziotti o gli stessi carabinieri che li vedo, li percepisco, sono più impotenti di me, con le mani legate da una giustizia lenta, faziosa e ingarbugliata? Come vi sentireste voi, a vedere una mamma in lacrime e inerme, con un coltello puntato in petto? E delle colleghe terrorizzate a varcare la soglia dell’azienda in cui lavorano? Come finirebbe se, a causa di una reazione sbagliata, qualcuno finisse per pagarne conseguenze peggiori?». Chiede risposte Sara, perché lei, dice, crede nelle istituzioni.
Il resto lo ha fatto sua madre, la titolare della farmacia, che ieri mattina, con suo marito ha incontrato il questore Roberto Pellicone e ha chiesto di essere ricevuta dal prefetto Rossana Riflesso.
«La sensazione è che la nostra farmacia sia stata scambiata per una sorta di bancomat e a nulla servono le telecamere e ogni precauzione», spiega.
«Ogni volta in sede di denuncia le stesse domane di rito, e poi accade di nuovo e nessuno fa nulla e noi siamo qui, in pericolo», aggiunge la titolare che, dopo avere denunciato i primi due episodi è determinata a non denunciare anche il terzo, «e a che servirebbe, sembra una presa in giro». Il ricordo del colpo messo a segno giovedì è ancora vivo. Questa volta il rapinatore è andato oltre, è entrato nello studiolo e frugato ovunque alla ricerca di altro denaro. «Io stavo lì, in piedi, e gli ho detto “basta, vai a lavorare!». Allora lui ha preso i soldi, si è ripreso il cacciavite che aveva posato sul tavolo e ha detto «ora ti faccio vedere io». Quando ho sentito quelle parole sono andata davanti nella farmacia e non ho capito più nulla». «Che cosa si sta aspettando - dice la Fontò - che la prossima volta ci scappi il morto o che ci facciamo giustizia da soli?». È la sua stessa rabbia che la spaventa dopo le tre rapine perché, spiega, «questo luogo è per noi come una casa e subire tanta violenza fa molto male».
La sua richiesta è di sentirsi tutelata, lei e le sue collaboratrici. «Se sarà necessario ci rivolgeremo anche al Procuratore di Trani, ma vogliamo risposte, perché sono disposta a tutto ma non a pensare che dobbiamo farci giustizia da soli. Cosa aspettano, di poter cogliere in flagranza chi compie rapine? Si tratta di attimi e la città è grande».
Sull’uscio della farmacia si era fatta quasi ora di chiusura, quella prediletta da chi per tre volte ha messo a segno i suoi colpi e con un lauto bottino. Questa volta, però, sono arrivati i carabinieri, a controllare che tutto fosse a posto.