Eccellenze
Stefano Casale, lo chef lucano che «insaporisce» New York
I suoi piatti all’Eleven Madison Park, ristorante tre stelle Michelin. «Ho ereditato la passione per la cucina dalle mie nonne e da mio padre»
Un bambino guarda l’obbiettivo della macchina fotografica che lo immortala intento a giocare con gli utensili da cucina, inconsapevole di star iniziando a scrivere, in quel momento, il suo destino.
Oggi, quel bambino ha ventinove anni ed è il sous chef dell’Eleven Madison Park, ristorante tre stelle Michelin di New York.
La Grande Mela è solo l’ultimo pezzo di un puzzle che ha visto il lucano Stefano Casale collezionare successi in giro per il mondo. A soli 19 anni parte alla volta di Londra, dove lavora all’Hilton e per chef del calibro di Claude Bosi. Dopo 4 anni, approda a Parigi, culla dell’alta cucina, dallo chef Alain Ducasse a Le Meurice fino a ritornare, nel 2020, all’Eleven Madison Park in qualità di sous chef.
Il ristorante dello chef Daniel Humm, nominato migliore del mondo nel 2017, si staglia nel cuore di New York. Pioniere assoluto nel luxury food, propone oggi una cucina «plant-based», solcando quella scia di successo tracciata anni addietro e diventando, così, il primo tre stelle Michelin totalmente vegano.
«Cambiamo il menu ogni stagione ed iniziamo subito a lavorare su quello successivo, facendo testing con lo chef per dieci settimane – racconta Stefano -. Quando inizia un menu, lavoriamo già sul prossimo. Il sistema non si ferma mai. È un lavoro duro, ma gratificante, con un bel team. Nel gruppo c’è un mix di etnie che ti cambia e ti rafforza, persone con tanta esperienza e talento da cui c’è solo da imparare, personalmente e professionalmente. Certo, vivere a New York non è facile, i ritmi sono frenetici, ma città come queste ti permettono di diventare quello che vuoi essere nella vita. Se vuoi puntare in alto, in ogni settore, qui puoi farlo. Ci sono le risorse, i contatti, sei al centro del mondo». Inseguire i propri sogni, però, comporta enormi rinunce, implica armarsi di coraggio e caparbietà e, una volta toccata la vetta, puntare ancora più in alto: «Ho ereditato la passione per la cucina dalle mie nonne e da mio padre che sta nel settore. Da piccolo ero già convinto di voler fare questo lavoro, ma ho sacrificato tanto per la mia passione e per i miei sogni. Questa all’Eleven Madison Park è un’occasione che capita una volta nella vita anche se, per me, non è un punto di arrivo, ma di partenza. Vedo tante persone che sono molto più avanti; hanno avuto tante esperienze, un grande background e questo mi porta ad aver sempre voglia di migliorare. Sono convinto che la bravura non basti; se pensi di essere bravo hai perso in partenza, troverai sempre chi lo è più di te. È un lavoro in cui non ci sono limiti, non si finisce mai di imparare».
Nel cuore di questo giovane talento, però, resta indelebile il legame con la famiglia, lì dove quella scintilla si è accesa anni fa: «Essere nato in un posto come Savoia di Lucania è stata una fortuna perché è piccolo, c’è spirito di sacrificio, senso della famiglia e voglia di emergere. Il mio obbiettivo adesso sarebbe provare a tornare in Italia. Vorrei proporre una cucina italiana che si apra ad altri ingredienti e tenga conto delle esperienze che ho fatto, ma che porti avanti la cultura del sud. Ho impresso nella memoria il ricordo delle mie nonne che cucinano, è questo che in futuro mi darà l’ispirazione per qualcosa di nuovo. Il passato, sono certo, sarà la mia guida per l’avvenire».