Lo scenario
Basilicata, la riflessione di un imprenditore: «Ai giovani non piace lavorare nel weekend»
Il lavoro c'è e viene ignorato. L’amaro pensiero di Piero D’Alaimo che non riesce a trovare barman
POTENZA - Cercasi addetti al bancone del bar, alle ordinazioni, al servizio ai tavoli. Esperti di laboratorio di pasticceria e prodotti da forno d’ogni tipo. Che si debba stare alla cassa o dietro una friggitrice o preparare un cappuccino o un drink le capacità relazionali non sono certo di poco conto. Riduttivo chiamarli barman. Limitante, nonché superata, la definizione di cameriere.
C’è tutto un mondo di professionalità in una tazzina di caffè o in un cornetto. C’è un ampio ventaglio di doti imprescindibili per preparare e porgere una pizzetta o un cartoccio di patatine. Ma c’è soprattutto la necessità di accordare piena disponibilità a lavorare su turni, sabato, domenica e festività incluse. Lo sa bene Piero D’Alaimo con le sue 4 attività, continuamente in affanno, sotto organico. Tra le migliori realtà imprenditoriali del capoluogo, che brilla per fatturato e qualità. Due bar con il marchio «La Delizia» in via del Gallitello e via Isca del Pioppo. Due in pieno centro storico, a ridosso di piazza Mario Pagano: lo storico Gran Caffè e l’attiguo Queen’s Chips Amsterdam, il franchising che ha esportato un autentico must dello street food olandese con punti vendita in tutta Italia e anche a Malta e Istanbul. «È davvero un grosso problema. Dagli ultimi anni a questa parte, poco a poco, va sempre peggio. In tutto - spiega Piero D’Alaimo - ho 36 dipendenti, ma con le ferie a turno e le assenze per malattia che possono sempre capitare, avrei bisogno di almeno altre 6-7 unità per non trovarmi in difficoltà.
Giovani che vogliano lavorare, purtroppo non ce ne sono, non ne trovo. Quando faccio un colloquio, appena sentono che si lavora il fine settimana storcono il naso e chiedono se ci può essere qualche deroga o se si può fare il part time. Non è più come una volta, quando ero giovane io e ci rimboccavamo le maniche, pronti a fare sacrifici: oggi i ragazzi vogliono uno stipendio, ma non un impegno full time, sabato e domenica incluse, come è ovvio che sia in attività del genere».
Un problema comune a tanti bar e locali, dalla ristorazione agli alberghi, di cui si sente sempre più spesso parlare. Manca un circuito virtuoso con le scuole, con gli Istituti alberghieri in primis: la preparazione adeguata è l’altra faccia del problema. «Spendo oltre 35 mila euro all’anno di formazione – sottolinea D’Alaimo - per i miei dipendenti: credo molto nell’aggiornamento della propria professionalità, anche mia da un punto di vista manageriale.
Ma è anche vero che, quando assumo qualcuno, si parte sempre da zero. Mi chiedo: dove finiscono i diplomati che ogni anno escono dagli alberghieri? Una grande mano me la danno i ragazzi extracomunitari. Sono bravissimi, eccezionali. Vengono da Costa d’Avorio, Nigeria, Gambia: anche loro hanno dovuto cominciare da zero a imparare il mestiere e, prima di tutto, hanno dovuto imparare l’italiano».
Stipendi per tutti come da contratti collettivi di settore: dai mille ai 2 mila euro al mese. «Forse troppo alti che non tengono conto delle reali capacità di ognuno. Ci vorrebbero piuttosto – osserva D’Alaimo - stipendi base, più bassi, ma con in aggiunta provvigioni proporzionate all’impegno e al valore di ciascun dipendente e delle vendite.
Meccanismi premiali potrebbero incentivare i ragazzi a impegnarsi di più, a migliorare. Darei anche 3 mila euro al mese, ma a chi lo merita, è capace, ha voglia di crescere.
Purtroppo, registro che in giro non ce n’è tanta. Mi ritengo, in ogni caso, molto fortunato – conclude il titolare – il mio staff è fatto di ragazzi veramente in gamba che mi stanno aiutando molto in questo momento particolarmente difficile».