la vicenda
Morti sospetta a Bridgestone caso chiuso: non c'è nesso
Cadono le accuse per sei indagati. Il gip ha archiviato l'inchiesta sugli ex operai uccisi dal tumore
di GIOVANNI LONGO
Manca il nesso causale tra l’esposizione all’amianto in fabbrica e l’insorgere di patologie polmonari che hanno colpito ex operai. Portandoli poi alla morte. La circostanza che tutti i lavoratori affetti da neoplasie polmonari rappresentate dagli eredi nel procedimento, fossero stati anche fumatori, potrebbe essere stata una concausa di un certo peso. Bridgestone, caso chiuso. Il gip del Tribunale di Bari Giulia Romanazzi ha archiviato l’inchiesta sulle morti sospette di operai che, stando alle denunce delle vedove, sarebbero deceduti o si sarebbero ammalati a seguito di malattie contratte in fabbrica. Nel procedimento, ricordiamo, erano indagati in sei tra ex amministratori e responsabili della sicurezza dell’azienda. Le ipotesi di reato erano omicidio colposo e lesioni personali colpose per la presunta violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in relazione alla morte di 17 ex lavoratori e all’insorgere di patologie in altri 6 casi. Per loro, assistiti dagli avvocati Francesco Paolo Sisto e Angelo Loizzi, non ci sono elementi per esercitare l’azione penale.
«Non può affermarsi che le malattie contratte dalle persone offese siano diretta conseguenza dell’omissione degli indagati», scrive tra l’altro il giudice sciogliendo la riserva a seguito dell’opposizione alla seconda richiesta di archiviazione in pochi anni avanzata dalla stessa Procura. Del resto, gli stessi periti nominati dal giudice escludono che «le neoplasie e più in generale le lesioni siano conseguenza dell’esposizione delle persone offese ad un ambiente di lavoro insalubre». Così, la «richiesta di archiviazione avanzata dal Pm merita immediata e assoluta condivisione».
L’inchiesta era stata avviata nel 2007. Dopo quattro anni fu chiesta una prima archiviazione e il gip dispose nuove indagini. La Procura, quindi, chiese un incidente probatorio. I periti nominati dal giudice hanno ritenuto che nello stabilimento Bridgestone nella zona industriale di Bari-Modugno c’è stato per 50 anni un «rischio significativo» di esposizione a sostanze nocive e, tuttavia, non risulterebbe «certo il nesso causale tra le patologie sofferte e l’esposizione professionale ad asbesto». I periti avevano evidenziato diversi fattori di rischio, primo fra tutti il tabagismo. Di qui la richiesta di archiviazione del pm Grazia Errede. Ma le famiglie delle vittime si erano opposte con gli avvocati Emanuela Maria Sborgia (studio legale Zecca) e Giacomo Barbara. E veniamo ai giorni scorsi con l’archiviazione decisa dal giudice che condivide le argomentazioni della pubblica accusa basate su presupposti scientifici, a partire dalla «rilevanza sinergica del fattore fumo, essendo scientificamente acclarato - si legge nell’archiviazione - l’aumento del rischio di contrarre tale malattia in modo esponenziale per il fumatore esposto all’amianto».
L’innesco della patologia potrebbe essere avvenuto «anche in ambito extra lavorativo ed in contingenze che non possono essere ricostruite». E poi, «non è possibile affermare con sufficiente grado di certezza che le lesioni patite» da alcuni dei lavoratori «siano conseguenza dell’omissione degli odierni indagati». A oltre dieci anni dall’avvio delle indagini, la vicenda è chiusa. Ma i legali delle famiglie degli operai non si arrendono. L’avvocato Sborgia fa sapere che andrà avanti, anche valutando la strada di possibili azioni e richieste di risarcimento in sede civile.