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Incontri gay, sono tre i religiosi baresi coinvolti

Nel dossier del gigolò Mangiacapra due uomini di Bari e uno di Molfetta

di Armando Fizzarotti

Due religiosi «in forza» all’Arcidiocesi di Bari-Bitonto (uno dei due studente) e uno in quella di Molfetta-Terlizzi nel «dossier» a luci rosse consegnato dallo gigolò napoletano, Francesco Mangiacapra, che sta facendo tremare il clero del Centro Sud Italia. Religiosi che avrebbero avuto con il giovane incontri sessuali gay a pagamento, in una sorta di «vita parallela» in spregio alla dottrina della Chiesa. Incontri in videochat, pare, con una serie di messaggi molto espliciti e fotografie in pose compromettenti.

Il dossier, com’è noto, contenuto in un compact disc è stato consegnato alla Curia di Napoli, retta dal cardinale Crescenzio Sepe, dal «prostituto» (tra l’altro autore del libro «Il Numero Uno», edito da Iacobelli Editore), con l’intento da lui dichiarato di voler moralizzare una Chiesa di facciata che invece ha al suo interno grave decadenza morale. Coinvolti in tutto 49 sacerdoti e 9 seminaristi.

Anonimato completo al momento su nomi e tanto meno sui luoghi di «servizio» dei religiosi baresi indicati dallo «gigolò», tra l’altro laureato in Giurisprudenza e organizzatore anche sui «social» di incontri sessuali a pagamento, mentre al momento non risultano giunte segnalazioni di nomi o situazioni di scandalo sul caso sia nell’Arcidiocesi di Bari e Bitonto sia nella Diocesi di Molfetta.

La Curia di Napoli sta esaminando in questi giorni il lungo elenco di nomi di 60 religiosi e va subito detto che, tranne un caso di sospetta pedofilia non si sa in quale regione d’Italia, il «dossier» non rappresenta la denuncia di reati che infrangano le leggi dello Stato. Ma quelle della Chiesa sì.

In quale misura? Giusto per avere un’idea, i due religiosi di Bari che avrebbero fatto sesso a pagamento con Mangiacapra fanno parte di un elenco di persone in servizio nella Chiesa barese che comprende oltre duecento nominativi.

E se e quando la Curia di Napoli riterrà di inviare le segnalazioni del caso a Bari, si commenta da parte di autorevoli fonti ecclesiastiche locali, si dovrà necessariamente avviare un processo di accertamento delle «accuse» mosse dallo gigolò. Se dovessero essere verificate, continuano le fonti baresi, si avvierebbe quindi un secondo processo che prevederebbe prima colloqui con le persone coinvolte al fine di cercare il loro «recupero morale», con un ravvedimento (leggi: pentimento e cambiamento di condotta), senza escludere eventuali supporti psicologici, e quindi una scelta definitiva: un cambiamento di abitudini di vita o la strada che porta alla «sospensione a divinis» che sfocia nella riduzione del religioso allo stato laicale.

Tutto un percorso, si fa anche osservare, nel solco della «misericordia» e dell’ascolto, valori ripetutamente espressi da papa Francesco nel corso del suo pontificato.

«È questo - commenta mons. Domenico Cornacchia, vescovo da due anni di una Molfetta che il 20 aprile prossimo attende la storica visita del Papa - un problema latente. Per ora su questo caso doloroso possiamo solo far congetture, non si capisce nemmeno se queste persone siano cadute realmente nel peccato o se si tratta di strumentalizzazioni. Certo sono notizie gravi, che avviliscono. Se qualche religioso di questa Diocesi ha fatto quello che viene segnalato, andrebbe invitato a mettersi da parte, a riflettere. Parliamo di un eventuale caso di fragilità psicologica e affettiva, perché come testimonia l’attività quotidiana di tanti bravi religiosi di Molfetta e dintorni la Chiesa locale deve vivere e pensare giorno e notte ai suoi fedeli, curare le anime, assistere i bisognosi».

Torna insomma in ballo la questione della sessualità dei religiosi, che continua ad avere linee molto precise. Chi sceglie il presbiterato è tenuto sia alla castità (come lo sono tutti gli altri credenti) sia al celibato. In qualsiasi forma la Chiesa al momento non ammette pratiche omosessuali, anche se è iniziato un percorso di catechesi rivolta ai gay.

Detto ciò, «il problema della castità nel clero è piuttosto diffuso» conferma in forma anonima alla «Gazzetta» un religioso barese.

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