l'intervista
Referendum separazione delle carriere, la voce del no: «Così si spezza la cultura unica della giurisdizione»
L’analisi di Trisorio Liuzzi, avvocato e presidente del Comitato barese «Giusto dire No», nato su iniziativa dell'Anm e aperto a chi, dal mondo accademico alla società civile, condivide le ragioni della contrarietà alla riforma
In studio, sulla sua scrivania, tra le numerose carte, spunta un fascicolo rilegato. In copertina il logo della Camera dei Deputati e un numero: 1917, il disegno di legge di riforma costituzionale approvato dal Parlamento su una riforma, quella della Giustizia, che «non interessa solo i magistrati, ma riguarda tutti i cittadini», premette l’avvocato Giuseppe Trisorio Liuzzi, già docente Uniba di diritto processuale civile, presidente del Comitato barese «Giusto dire no» in vista del referendum di primavera.
Dai magistrati facile aspettarsi la mobilitazione. Perché anche lei è contrario?
«La riforma intende introdurre un nuovo equilibrio tra i poteri dello Stato, legislativo, esecutivo e giudiziario. Con un tratto di penna una maggioranza cancella studio, analisi, mediazioni tra le diverse anime (cattolici, liberali, socialisti, comunisti) rappresentate in Assemblea costituente da giuristi di altissimo profilo e che dettero vita alla Carta fondamentale tra le più belle al mondo».
Non è la prima volta che viene modificata la Costituzione. Cosa non la convince?
«Ho recuperato il lavoro che c’è dietro all’articolo 104 Costituzione che aveva immaginato un potere giudiziario autonomo e indipendente, nel quale pm e giudice fanno parte dello stesso corpo, con la conseguenza di attrarre i pubblici ministeri nella cultura della giurisdizione. Non ha idea del dibattito di altissimo spessore poi sintetizzato con la formulazione in vigore. Oggi, non c’è nulla di tutto questo, l’esecutivo propone, il Parlamento approva senza cambiare una virgola e si va avanti come un treno per quelle che appaiono ragioni politiche, di parte, con una riforma che non migliora il servizio giustizia e che si inserisce in un contesto più ampio».
In che senso?
«Se le separazione delle carriere è un cavalo di battaglia di Forza Italia, il prossimo step sarà il premierato sul quale punta Fratelli d’Italia e poi, l’autonomia differenziata cara alla Lega».
Torniamo alla separazione delle carriere. In cosa consiste il pericolo?
«Si spezza la cultura unica della giurisdizione».
E questo cosa comporterà in concreto?
«Tra un pm sceriffo o poliziotto e un pm magistrato, da cittadino preferisco il secondo».
Sino ad oggi ha funzionato tutto perfettamente all’interno della magistratura?
«No, i problemi ci sono stati e alcune cose non vanno, lo dico da avvocato e già docente di processuale civile, ma sulle criticità si può intervenire a livello di ordinamento giudiziario, non stravolgendo l’impalcatura della Carta».
Due Csm e un’Alta corte disciplinare al posto di un solo Csm. Cosa ne pensa?
«Innanzitutto, l’aumento di costi e poltrone è del tutto evidente, davvero l’ultimo dei problemi».
Il primo dei problemi?
«Il sorteggio».
Perché?
«Mi fa paura perché non è vero che siamo tutti uguali. Anche tra i giudici c’è chi è più bravo e meno bravo, chi è più coscienzioso e meno coscienzioso. Per questo non basta dire “se hanno superato un corso possono decidere sulle carriere dei colleghi”. Non è così, un conto è fare il giudice, gestire un processo e scrivere una sentenza, altro è stare in un organismo in cui si valutano professionalità, si decidono incarichi direttivi o si prendono decisioni disciplinari. Una elezione significa che la collettività individua quelle persone che a suo parere sono quelle più in grado di adempiere a quei compiti costituzionalmente previsti. Affidarsi alla sorte rende meno autorevole il consesso perché è meno autorevole il consenso che genera l’organismo: la sorte».
Il «caso Palamara» dimostra però come al Csm venivano decise le carriere dei magistrati.
«Vero, ma quelle vicende dimostrano anche come la politica volesse influenzare certe nomine. Peraltro si rinvia alla legge ordinaria troppi aspetti finora poco chiari e con contraddizioni evidenti».
Quali?
«Quanti saranno i componenti togati e quelli laici? Chi potrà partecipare al sorteggio, magistrati appena entrati in servizio, o con 5, 10 anni di anzianità? E che dire dell’Alta corte disciplinare dove giudici e pm confluiranno di nuovo insieme? Una riforma che non condivido anche perché per i componenti laici il sorteggio è regolato in modo differente. A questo punto perché non sorteggiare i deputati, cosa ne pensa la politica? Perché non sorteggiare i componenti degli ordini professionali, cosa ne pensano gli avvocati?».
La sensazione è che i cittadini vedano tutto questo molto lontano. Il Comitato è al lavoro su questa percezione?
«Il Comitato è nato su iniziativa dell’Anm che ha voluto non fosse costituito da soli magistrati. Ci sono avvocati, esponenti della società civile, docenti universitari. L’obiettivo è parlare alla collettività in maniera disinteressata, spiegare alle persone perché questa modalità di riformare la Costituzione è certamente possibile ma politicamente non è un bel segnale. Le regole comuni devono essere condivise, non si possono cambiare a colpi di maggioranza. A pagarne le spese sono i cittadini. Partendo da questo, la loro percezione non potrà che cambiare».