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«Così il Black Friday danneggia il nostro business»: i commercianti baresi tornano sul piede di guerra

Davide Lattanzi

Dovrebbe durare un solo giorno, l’ultimo venerdì di novembre. In realtà, sul web, si trasforma in settimane o in un intero mese di sconti. Concorrenza insostenibile e mercato drogato

Concorrenza insostenibile e mercato drogato. Sono soltanto alcune delle opinioni degli esercenti di prossimità, stretti nella morsa delle grandi catene e del commercio incontrollabile sul web. Secondo il concetto originale il Black Friday dovrebbe essere un solo giorno, l’ultimo venerdì di novembre: in questo 2025, cadrebbe alla data del 29. In realtà, invece, si trasforma in settimane o in un intero mese di sconti.

Slogan mastodontici compaiono ormai nelle vetrine già allestite a tema natalizio. Decurtazioni di prezzi più o meno sostanziose sono in bella mostra in gran parte dei negozi delle vie «dello shopping» nel centro cittadino. Eppure, la strategia di marketing importata dagli Stati Uniti «spacca» la visione dei commercianti da un lato e la percezione dei consumatori dall’altro. Il «viaggio» nel cuore del business del capoluogo ne è una limpida dimostrazione.

Mancano 39 giorni alla vigilia di Natale. Eppure, ovunque si respira l’avvicinamento al periodo più magico dell’anno, anticipato dalle luminarie che già da settimane caratterizzano le strade del commercio in centro. I richiami al black friday, così, diventano efficaci in particolare nei negozi di oggettistica che propongono addobbi o soluzioni per la casa. «Le famiglie ormai iniziano a decorare le abitazioni sempre prima: la possibilità di accedere ad una buona scontistica crea un beneficio sia per noi negozianti, sia per i clienti», afferma un esercente in via Argiro. «Troviamo occasioni convenienti sia per l’allestimento in casa, sia per anticipare qualche regalo, aggiunge un gruppo di famiglie in passeggiata. «Bisogna riconoscere che il tormentone del black friday trova un discreto risultato: in fondo, bisogna adeguarsi ai tempi», rileva un altro negoziante del settore delle soluzioni per l’arredamento. «Si nota maggiore affluenza rispetto alle scorse settimane. Se adottato nelle giuste misure, quindi, può generare benefici».

L’altra faccia della medaglia, però, racconta anche di sofferenze che portano ad un’adesione soltanto parziale allo sconto di massa. È il punto di vista, in particolare, dei negozianti di prossimità, slegati da grandi marchi o franchise.

«La concorrenza è insostenibile», è il pensiero delle poche attività storiche rimaste in via Spèarano e in via Argiro. «Un’idea interessante ha valicato ogni confine», afferma un negoziante di abbigliamento nel murattiano. «Da inizio mese assistiamo a forme di apparente agevolazione che, però, non sono applicabili da tutti. Se acquisto a prezzo pieno i capi per l’inverno, come posso poi venderli al 30% in meno? I grandi marchi possono anche permettersi di mettere in saldo parte della merce, poi sta al consumatore riconoscerne l’effettivo valore o la qualità. Una cosa, però, è certa: noi, non possiamo mantenere questo passo. Proviamo a sopravvivere sul rapporto confidenziale con la clientela in virtù di rapporti di fidelizzazione consolidati nel tempo. Ma non è semplice: forse saremo rimpianti quando saremo costretti a chiudere».

Le associazioni di categoria non considerano ancora il black friday come periodo influente sui consumi: da un lato si tratta di una consuetudine forse ancora troppo recente, dall’altro i flussi di spesa dell’utenza evidentemente non variano in modo significativo rispetto ad altri periodi.

D’altra parte, emblematico è il punto di vista dei compratori più attenti che sottolineano una serie di possibili equivoci.

«Gli sconti convenienti - rilevano varie persone in giro per via Sparano - riguardano prodotti ormai non utilizzabili. Nel settore dell’abbigliamento, ad esempio, è molto difficile trovare prezzi ridotti sui capi invernali nuovi. Magari gli sconti riguardano i «mezzo peso» o collezioni ormai accantonate. E in ogni caso, nessun negozio applica il black friday su tutta la merce. Su queste basi, è difficile credere ad un continuo bombardamento pubblicitario che, in fin dei conti, non genera una reale convenienza».

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