Le dichiarazioni
Il pentito Anemolo: «A Bari i clan gestivano le trattative tra costruttori»
Il verbale dell'ex boss di San Pasquale: «L'incontro con gli uomini dei Parisi per un suolo in via Capruzzi»
Imprenditori che si rivolgevano ai clan per le trattative sull’acquisto di terreni edificabili, summit nei bar cittadini tra mafiosi o tra boss e imprenditori per stringere accordi con percentuali da riconoscere ai gruppi criminali e protezione sui cantieri in cambio di qualche centinaia di euro al mese. C’è tutto questo nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia finite nei faldoni dell’ultima inchiesta sulla mafia di Japigia, terzo filone dell’indagine della Dda di Bari «Codice Interno».
A raccontare un episodio inedito, anche se risalente - stando ai ricordi del «pentito» al 2018-2019 - è l’ex boss Vincenzo Anemolo, 60 anni, detenuto da cinque e da tre nel programma di protezione dopo la decisione di collaborare con la giustizia. Anemolo ha raccontato di una trattativa con il clan Parisi-Palermiti per un terreno sull’estramurale Capruzzi, al di là della ferrovia verso Japigia.
Il 60enne oggi «pentito» era all’epoca al vertice dell’omonimo clan di Carrassi. Agli inquirenti antimafia, solo qualche giorno fa, ha raccontato una vicenda relativa alla «spartizione» dei cantieri su cui esercitare controllo e pressioni. Lui - ha spiegato - fu contattato dal titolare di una impresa edile che stava realizzando un palazzo nel quartiere Carrassi e che era interessata ad acquistare un grosso terreno sull’estramurale. Quel suolo, però, era di proprietà di altri costruttori e l’intervento del boss - nelle richieste dell’impresa - avrebbe dovuto «togliere di mezzo» i concorrenti. L’impresa che aveva commissionato la trattativa gli aveva detto di essere disposta a pagare 480mila euro per il suolo: se Anemolo e i suoi fossero riusciti a trattare per l’acquisto ad un prezzo più basso, la restante parte del denaro sarebbe andata al clan. «Erano disposti a pagarlo fino a 480mila euro questo terreno, “quello che riuscite a dargli di meno, ve lo prendete voi”» ha riferito. E così incontrò i costruttori proprietari del terreno nel bar Miss Italia a Poggiofranco. «Inizialmente titubarono un po’, poi alla fine glielo facemmo capire chiaro e tondo, dissi: “Quel terreno lo devi lasciare”. Arrivammo sui 410mila euro come somma, ma poi intervennero quelli di Japigia all’improvviso, venne il genero di Palermiti, Filippo Mineccia. Mi avvicinò e disse “sai, quello appartiene addirittura a un nipote di Savino”». Quando, cioè, l’accordo sembrava chiuso, si fece avanti il clan di Japigia, al quale i costruttori proprietari «si erano rivolti, avevano chiesto aiuto perché non volevano cedere il terreno». «Dissero “quella è zona nostra”, perché per loro l’estramurale Capruzzi appartiene alla zona di Japigia e dissero “dovete lasciarli stare” (riferito ai costruttori, ndr). Loro rispettavamo la zona mia, io rispettavo la zona loro e lo lasciammo». Secondo Anemolo, comunque, quella «fu una sgarbatezza, perché loro non si vollero accordare con noi, volevano mangiare da soli, insomma alla fine c’è stata una rottura».
Quindi, andò a riferire al «suo» imprenditore come si era evoluta la faccenda. «Andai ad avvisare, dissi non posso fare più niente», ma «non volevano mollare, dissero andiamo per le vie legali». Di qui la scelta di lasciar perdere: «Dissi “senti, io mi tolgo di mezzo perché questa ci manda in galera a tutti quanti qua”».