Il caso

Giovinazzo, a dieci anni dal delitto Fiorentino la Dda chiede cinque ergastoli

isabella maselli

L’agguato nel 2014 sulla complanare della Ss16 a Giovinazzo

BARI - Cinque ergastoli e una condanna a 8 anni di reclusione: sono le richieste della Dda di Bari nei confronti dei sei presunti responsabili, tra mandanti, fiancheggiatori ed esecutori materiali, dell’agguato mafioso in cui, all’alba del 3 giugno 2014, fu ucciso con 9 colpi di mitragliatrice Claudio Fiorentino, all’epoca 33enne, imparentato per parte di moglie ai Capriati di Bari vecchia.

La mattina del delitto Fiorentino era uscito da casa a bordo del suo calesse, come faceva ogni giorno, percorrendo le strade sterrate complanari della Statale 16. Ma da due anni era considerato dalla mafia locale «un morto che cammina». Il suo monopolio sulla gestione del racket delle estorsioni a Giovinazzo non piaceva al clan Di Cosola, che su quel territorio a nord del capoluogo aveva concentrato le sue mire espansionistiche, tramite un gruppo di sodali capeggiato dai fratelli Maisto. Ad ammazzarlo ci avevano già provato nel 2012, ma i sicari in quella precedente occasione avevano deciso alla fine di non agire perché con Fiorentino, il giorno in cui avevano pianificato l’agguato, c’erano alcuni bambini. Due anni dopo, organizzando a tavolino l’omicidio, tra riunioni operative in casa del boss e spartizione dei ruoli tra esecutori e vedette, il piano è andato a segno.

E così quel giorno, su ordine di Luigi Guglielmi, 42enne attuale reggente del clan Di Cosola, e di Carmine Maisto (ora collaboratore di giustizia), i due presunti sicari Pietro Mesecorto (alla guida della moto su cui viaggiava il killer al momento dell’agguato) e Michele Giangaspero (anche lui «pentito» che si è autoaccusato del delitto), con la complicità di Pasquale Maisto (fratello di Carmine) e Mario del Vecchio (nel ruolo di vedette, studiando orari e movimenti della vittima), seguirono Fiorentino, lo affiancarono mentre era a bordo del suo calesse e fecero fuoco...

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