Le indagini
Pisicchio, verifiche della Procura sui tempi delle dimissioni dall'Arti
Il politico barese arrestato tre ore dopo aver lasciato l’incarico: acquisita delibera della Regione
BARI - Si è dichiarato «estraneo a qualsiasi attività lecita o non lecita rispetto all’espletamento della gara» l’ex assessore regionale pugliese ed ex commissario dell’Agenzia regionale per l’innovazione tecnologica Alfonsino Pisicchio, arrestato mercoledì scorso (ai domiciliari) con le accuse di corruzione e turbativa d’asta. «Avendo avuto informazione dell’esito» della gara, «si è soltanto premurato di indicare alcuni soggetti che avevano necessità di una occupazione, al fine di verificare la possibilità che si sottoponessero a un colloquio informativo» e quindi che ottenessero un contratto di lavoro con l’azienda che si era aggiudicata l’appalto. Si è difeso così Pisicchio - stando a quanto riferito dal suo avvocato Salvatore D’Aluiso - nell’interrogatorio di garanzia davanti alla gip Ilaria Casu e al pm Claudio Pinto.
All’indagato sono state fatte domande sui fatti contestati, in particolare la gara da 5 milioni bandita dal Comune di Bari per la riscossione dei tributi, pilotata - secondo l’accusa - in cambio di utilità per 50mila euro e un pacchetto di assunzioni. E poi sono state fatte domande sulle sue dimissioni arrivate solo qualche ora prima dell’arresto. Un giallo - il tempismo delle dimissioni - che ha subito insospettito gli inquirenti, tanto da aver acquisito la delibera con la quale il presidente della Regione, Michele Emiliano, il pomeriggio del 10 aprile ha revocato a Pisicchio l’incarico di commissario dell’Arti.
È l’ultima bufera giudiziaria che ha travolto la Regione Puglia e il Comune di Bari e che ha svelato, ancora una volta, la presunta esistenza di un «sistema» in cui ai «favori» agli amici, appalti e assunzioni, corrispondevano voti. Negli atti dell’inchiesta si parla infatti di «gestione clientelare e nepotista (in senso familista) del potere politico, con favoritismi ad imprese e privati commessi in violazione della legge penale per ottenere ritorni in termini di consenso elettorale (mediante assunzioni nelle imprese favorite o avvantaggiate di persone che assicurano il voto) e vantaggi e profitti familiari (assunzione di figli e parenti)».
Una ricostruzione che Pisicchio ha smentito. L’avvocato D’Aluiso ha spiegato infatti che dinanzi a gip e pm l’ex assessore ha respinto le accuse, chiarendo la sua posizione e dichiarando «la sua assoluta estraneità rispetto ai fatti che ineriscono la gara» d’appalto contestata. «La corruzione - ha spiegato il legale - intanto ci può essere se il soggetto ha contribuito alla mistificazione della gara. Si è avuto modo di chiarire che rispetto alla gara il professor Pisicchio è totalmente estraneo», ribadendo che «avendo avuto notizia della aggiudicazione della gara, ci sono state delle segnalazioni di persone in cerca di occupazione che potessero sostenere un colloquio per una eventuale assunzione». «Persone - ha precisato il difensore - che lui conosceva, indipendentemente dall’apporto elettorale». Il legale ha poi annunciato che nei prossimi giorni sarà formalizzata l’istanza di revoca dell’arresto.
Oltre all’ex assessore, anche il fratello Enzo è finito agli arresti domiciliari con le accuse di aver pilotato cospicui finanziamenti regionali ad alcune imprese «amiche» in cambio di varie utilità (tra cui numerose assunzione di famigliari e militanti politici), attraverso polizze fideiussorie false fornite da un sedicente broker, il monopolitano Cosimo Napoletano (finito in carcere). Enzo Pisicchio, presidente del movimento politico «Iniziativa democratica», assistito dagli avvocati Vito Mormando e Francesco Paolo Sisto (omonimo del viceministro della Giustizia) ieri si è avvalso della facoltà di non rispondere. «Vogliamo provare a qualificare meglio i reati contestati in un secondo momento, davanti alla Procura, rendendo un interrogatorio investigativo» ha spiegato l’avvocato Sisto, annunciando che «chiederemo la revoca dei domiciliari perché non ci pare ci sia questa gravità, soprattutto a distanza di quattro anni dalle perquisizioni del 2020».
Ieri sono stati interrogati anche il funzionario del Comune di Bari Francesco Catanese e l’imprenditore Giovanni Riefoli, entrambi ai domiciliari perché accusati anche loro di aver pilotato la gara da 5 milioni di euro per la gestione e la riscossione dei tributi comunali. Catanese, difeso dall’avvocato Carmelo Piccolo, ha risposto alle domande chiarendo la propria posizione; Riefoli, assistito dall’avvocato Francesco Rotunno, si è invece avvalso della facoltà di non rispondere.