La riflessione

I colori biancorossi al di là di tutto, non è ancora il tempo dei processi

Fabrizio Nitti

Di stagioni maledette, da queste parti, ne abbiamo viste tante, troppe. Germogliano in silenzio e silenziose progrediscono.

Più che tempo di processi, è tempo di unità. La sconfitta contro la Samp ha detto chiaro e tondo, forse una volta in più, che l’esigenza principale è ora guardarsi alle spalle anziché alzare lo sguardo. Questa è una stagione nata male e portata avanti peggio, non ci sono dubbi. Fra scelte avventate, cambi di allenatori e squadra che ovviamente ha fatto fatica a trovare una chiara identità tattica e comportamentale, non resta che stringersi tutti attorno al biancorosso e spingere la nave barese verso la salvezza.

Di stagioni maledette, da queste parti, ne abbiamo viste tante, troppe. Germogliano in silenzio e silenziose progrediscono. Come non ricordare il campionato della retrocessione in C negli anni ‘80, con Gigi Radice in panchina, quando il Bari finì per fallire ben sei calci rigore; o quella della fatal Venezia, il playout perso con Bepi Pillon in panchina, retrocessione annullata dal ripescaggio. A ben vedere, sono tante le similitudini con il campionato in corso. Ma va evitato quel finale, perché sarebbe davvero come cadere nuovamente nell’inferno.

Che fare, dunque? Fermo restando che il «peccato originale» resta l’insopportabile (da un punto di vista giuridico, sia ben chiaro) multiproprietà e che la libertà di constestare è altrettanto incontestabile, c’è solo da sostenere la maglia con ancora maggiore forza. In fondo, è ciò che più di ogni altra cosa conta. L’amore per la maglia della propria città, va oltre, vola al di là di chi c’è sul ponte di comando, di chi occupa il ruolo di direttore sportivo e di chi siede in panchina. Il tifoso barese, sotto questi aspetti, non teme e mai temerà nessuno.

Il calendario non aiuta, lo scivolone interno di sabato scorso ha ampliato le difficoltà e il percorso che rimane da coprire è oggettivamente complicato. Parlare di squadra in crescita, a marzo inoltrato, non ha più senso. La verità è che questo è il momento più difficile degli ultimi sei anni a questa parte. Ormai è chiarissimo, questa squadra ha necessità di essere sorretta sempre e comunque, ha bisogno non solo del dociesimo uomo in campo, ma anche de tredicesimo uomo in campo. Soprattutto perché non è semplice tuffarsi nel clima della lotta salvezza dopo aver animato la mente con discorsi d’alta classifica. Il campionato si ferma e forse è un bene. Ricaricare le batterie è un dovere. Stare vicini alla squadra, ancora più vicini di quanto già non stia avvenendo, anche.

Il tempo dei processi verrà, più tardi. A bocce ferme e con la salvezza in tasca, tutti i nodi dovranno per forza di cose venire al pettine...

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