L'intervista

Università, sfida al futuro, il rettore Stefano Bronzini: «La conoscenza oltre i limiti»

Ninni Perchiazzi

«Bari ha spazi e margini di crescita notevoli». Domani l’inaugurazione dell'anno accademico al teatro Piccinni con lo scienziato Stefano Mancuso

BARI - Inaugurazione dell’anno accademico 2023-2024 dell’Università degli studi di Bari Aldo Moro alle porte, domani su il sipario per la cerimonia nel teatro Piccinni. Tema fondante di spunto e riflessione è il «senso del limite» a supporto di una mission, non solo accademica, che guarda ai concetti di futuro, innovazione e conoscenza.

«Il tema del limite porta a compimento un percorso avviato nei precedenti anni accademici, iniziato nel 2019 con l’accoglienza, per poi parlare di contaminazione dei saperi, quindi della complessità, per finire con la pace», afferma il rettore dell’Ateneo Stefano Bronzini.

Come si chiude il cerchio?

«Oggi parlare di senso del limite e della sua concezione significa portare avanti la riflessione. Superare i limiti prevede una concezione verso il futuro, dare dei limiti significa andare contro tendenza rispetto ai processi di modernità. L’obiettivo che ci riguarda maggiormente è la diffusione della conoscenza. Purtroppo appartiene sempre a numeri più ridotti di persone e in futuro potrà portare a una sorta di oligarchia della conoscenza. Dentro ci sono i concetti del diritto allo studio, la certezza di definizione del futuro, la possibilità di avere un senso critico rispetto alle scelte. La conoscenza di per sé un elemento del pensiero critico».

Il target sono gli studenti sullo sfondo di una società in continua e rapida evoluzione che certo non agevola scelte e crescita.

«Spesso si parla di fragilità degli studenti, ma bisogna capire che questa dipende da un rapporto differenziato col tempo. Gli studenti non hanno più un futuro. Come fa uno studente a studiare otto ore sulla scrivania senza pensare che ciò che studia non sia connesso con il futuro. Quando studiavo non pensavo di diventare professore, ma pensavo che quelle informazioni portassero da qualche parte. Adesso, si criminalizzano gli studenti tacciandoli di qualunquismo, ma vai a essere non qualunquista in un tempo che al massimo arriva arriva a stasera. La conoscenza vuol dire entrare in un tempo altro, ma se non si dà loro la possibilità di sbagliare è finita».

E qui si innesta la recente polemica sul merito.

«La polemica sul merito è stupida. Io lo avrei chiamato il Ministero delle opportunità, non del merito. Il merito è una parola astratta, pericolosa di derivazione anglosassone. Invece, la terra promessa è data dalle opportunità che si costruiscono facendo vedere il futuro».

Quindi, a partire dal sacrosanto diritto allo studio, quali sono le reali prospettive per gli studenti?

«L’università pure rimanendo una istituzione marmorea, solida, di fatto ha mutato le sue funzioni. Merito ai governi nazionale e regionale che hanno fatto gli alloggi per gli studenti, ma nel 2024 non basta parlare solo di questo. Io penso che il diritto allo studio abbia altre definizioni, non ultimo l’organizzazione di città e di luoghi in cui lo studente non sia un consumatore, ma abbia luoghi di aggregazione, un sistema sanitario che la protegga, persino attenzione sul tempo libero. Sono categorie di questo millennio, che nel Novecento non erano emerse come problema. Alla fine, si danno risposte a esigenze antiche, come quelle degli alloggi, ma in ogni caso non ci sono luoghi dove ci si interroghi sul nuovo diritto allo studio».

E arriviamo alla fuga di cervelli. Qual è la chiave per trattenere i ragazzi, ma anche per non dare il prodotto finito ad altri?

«Siamo punto e a capo. Se hai un modello innovativo che abbia una corrispondenza territorialmente annessa e se invece stai estremizzando l’idea che questo modello appartenga ad altre realtà, è ovvio che la gente andrà lì. Torino ha avuto un calo del 5% di studenti fuori sede, causa aumento costi e quant’altro, però sia Piemonte che Lombardia hanno triplicato il sistema di assorbimento dei laureati. Perché una famiglia non dovrebbe immaginare di andare lì? Io quindi, ho un grosso problema sulla precarietà, così come so di avere un potenziale di assorbimento territoriale da aziende private e quant’altro ben più basso di Lombardia, Emilia Romagna e compagnia».

C’è una soluzione?

«Il nostro dovere come classe dirigente non è trattenere le persone qui con il guinzaglio, ma far sì che possano tornare da fuori e vengano anche da altre parti. Il problema non è andare a studiare fuori, che poi a diciott’anni male non fa. Ciò che serve è creare possibilità di sviluppo in loco. In caso contrario il rischio è di prosciugarsi».

Bari città universitaria, cosa manca?

«La città universitaria non ha senso, è un concetto asfittico e molto novecentesco. Bari dovrebbe diventare una città della conoscenza. Noi dovremmo creare sul territorio i luoghi di sviluppo di idee innovative, che vanno dalla creatività all’energia all’ambiente. Questo manca. Abbiamo i nostri 40mila studenti a cui va aggiunto il Politecnico, il CNR, i centri di ricerca privati, ma se tutto ciò non ricade immediatamente in una visualizzazione che oggi il concetto di lavoro è cambiato, che il prossimo lavoro non è fare un mestiere, ma è avere idee, allora questa città, questo territorio, direi anche questo Sud, avranno maggiori difficoltà».

L’attrattività rispetto ad altre regioni passa anche da partnership coi privati e collaborazione istituzionale. A che punto siamo?

« Il dialogo con le imprese è cresciuto. Abbiamo incrementato i fondi presi per investimenti - al netto del Pnrr - del 40%, ma. Ciò che vedo ancora carente è un’idea d’insieme dello sviluppo. Ad esempio, se tu trasformi i luoghi della città dando prevalenza al turismo, ma non comprendi che li stai deturpando e non ti dai hai una prospettiva futura, alla lunga è pericoloso».

Salto di qualità, cosa deve fare l’università?

«Il primo grande salto di qualità è avere un bilancio che ci permette di guardare in prospettiva e in crescendo. Abbiamo appena varato una novantina di accessi per il personale tecnico amministrativo e nel 2023 abbiamo fatto 150 bandi concorsuali per docenti. Se dovessi consigliare a qualcuno di iscriversi all’università, invece di vedere il ranking, andrei a vedere la situazione dei bilanci dell’ateneo. Un conto è un ateneo che può svilupparsi, altro è uno che deve comprimersi. Poi penso anche che vada messo in discussione il modello delle università annesse a una sola sede. Credo che i nuovi modelli impongano di avere idee, prima di parlare di finanziamenti. Invece sentiamo parlare solo di numeri, quasi che i finanziamenti siano salvifici. I soldi non ci salveranno mai se non c’è un’idea».

Torniamo alla parola progettazione.

«Io devo fare una scelta oggi, sapendo che tutto ciò verrà valutato tra 10 anni. C’è l’esempio della questione sanitaria, ma io non so tra 10 anni quanti medici saranno necessari. Il rischio è di dare un’illusione, per cui dobbiamo progressivamente crescere avendo il punto della situazione, altrimenti avremo sempre tappi su modelli vecchi».

La velocità con cui cambia il mondo, come sta cambiando l’approccio all’università?

«Non sono convintissimo che il mondo stia andando a velocità superiore. L’illusione è questa, ma la giornata è sempre di ventiquattr’ore. E la velocità è a discapito della qualità. Sono scettico su questo modello e sulla qualità della vita collegata».

Immatricolazioni, qual è il bilancio?

«È un feedback che ci rassicura, anche grazie a una politica che gli studenti hanno appoggiato e favorito con una serie di facilitazioni finanziarie. Sono convinto che dobbiamo far entrare il numero maggiore di persone nel percorso universitario, altrimenti creeremo disuguaglianza. Abbiamo tre punti in cui credo: un progetto sui rifugiati politici, stiamo facendo formazione nelle carceri e politiche che possano aiutare i nostri studenti rispetto alla fragilità del tessuto generale».

Se dovesse convincere uno studente a iscriversi a Bari, cosa gli direbbe?

«La prima cosa che direi è di iscriversi all’università. Il motivo? Il futuro lavoro è il lavoro intellettuale e prevede altissime competenze. Gli direi di iscriversi a Bari un po’ perché abbiamo spazi, margini di crescita notevoli - come confermano i dottorati triplicati - e una prospettiva di futuro. Nel nostro essere generalisti, abbiamo rivisitato i corsi di laurea per renderli ancora più appetibili, comprensibili al disegno del futuro. Credo che Bari possa essere un’ottima sede per qualificarsi come confermano i successi dei nostri laureati oggi ai vertici anche in altri territori. E poi vorrei rimarcare un concetto fondamentale».

Prego.

«Fare l’università oggi è la conditio sine qua non, non si pensasse di fare tragitti abbreviati. Le scorciatoie nella formazione, nella ricerca, ci dicono che se non si hanno competenze alte, si verrà presto schiacciati da un mercato globalizzato».

Sul quale sta irrompendo prepotentemente l’intelligenza artificiale.

«La scienza non è fatta da slogan, ma da innovazione e idee. La discussione sull’intelligenza artificiale è possibile farla in modo manicheo solo se non si capisce l’importanza della stessa. L’intelligenza artificiale è importante, ma occorre riporre al centro la persona».

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