gli interventi

Bari, il ricordo di Giacomo Princigalli a sei anni dalla sua morte

Massimo Dalema e Rino Formica

Le parole di Massimo D'Alema e Rino Formica sull'esponente politico della sinistra

Chi era Giacomo Princigalli

Suo padre, originario di Canosa di Puglia, fu Antonio Princigalli, magistrato e tenente colonnello dell'Esercito. Sua madre, maestra elementare. La sorella Anna Maria, già comunista da tempo, entrò nella Resistenza a Verbania. Nel dopoguerra tutta la famiglia, aderisce al Partito Comunista Italiano eccetto Giacomo che nel 1947 si iscrive al Partito Socialista Italiano: diviene vicesegretario provinciale e partecipa ai congressi internazionali a Vienna, Bucarest Praga e Berlino. Negli anni Cinquanta accompagna il segretario del Psi Pietro Nenni nei comizi nel Barese. Nel 1964 segue la sinistra del partito per fondare il PSIUP di cui diviene membro del comitato centrale nazionale e segretario della federazione barese. In quel periodo fa parte della delegazione (assieme a Rino Formica e Vito Vittorio Lenoci) che accoglie i sindacalisti del Vietnam del Nord e del comitato di solidarietà con i greci all’indomani del golpe dei colonnelli. Nel 1970 viene eletto nelle file del PSIUP nel Consiglio Regionale pugliese. In quegli anni è spesso bersaglio dei raid fascisti.
Dopo lo scioglimento del PSIUP nel 1972, aderisce al PCI: nel 1980 è capogruppo del partito in consiglio regionale. Nel 1998 è tra i delegati provinciali agli Stati generali della Sinistra e nel 2001 all'assembla nazionale della sinistra DS svoltasi a Roma. Nel 2001 aderisce al progetto Socialismo 2000. In una lettera alla Repubblica scrive la sua contrarietà allo scioglimento dei DS e alla nascita del Partito Democratico. I DS sono di fatto il suo ultimo partito. Muore a Bari il 12 giugno 2017.

D'Alema: «L'amico che mi salvò dal pozzo nero della solitudine»

Caro direttore, sono lieto di poter esprimere sul suo giornale il mio sentimento di gratitudine alla città di Bari aver deciso di intitolare un giardino cittadino a Giacomo Princigalli. Giacomo è stato un protagonista della vita politica e delle istituzioni della nostra regione. Un uomo di parte ma capace di farsi apprezzare, rispettare e benvolere da tutti. La parola compagno, come si sa, identifica la persona con cui si divide il pane. Ho sempre pensato che a pochi questa parola si è adattata come a Giacomo Princigalli. Egli ha vissuto la politica come passione, mai come mestiere e mai separata dalla vita, dall’amicizia e dalla sua generosa umanità. Egli è stato sempre un uomo attento agli altri e certamente ha dato molto più di quanto egli abbia ricevuto nel corso del suo impegno politico e della sua vicenda personale. Giacomo è stata una figura singolare della sinistra: socialista, comunista, anarchico e libertario. Ma non come è potuto capitare a qualcuno di noi di vivere queste esperienze in successione. Egli riuscì a far convivere in sè queste diverse anime della sinistra. Era socialista per la sua passione riformista e la sua attenzione ai temi del governo. Fu comunista per l’idealità e il rigore etico. E fu un anarchico libertario per indole personale. Un uomo attaccato alla sua libertà ma pronto a difendere quella degli altri. Nell’impegno era radicale, appassionato e battagliero, ma mai estremista perché sempre capace di ascoltare gli altri e autenticamente curioso di comprendere le ragioni anche di quelli che rappresentavano l’altra parte nella battaglia politica. È stato scritto che la «curiositas» è un tratto fondamentale del grande intellettuale.

Ed è stato un aspetto importante della sua personalità. Quando arrivai a Bari all’inizio del 1980 ero guardato con quel misto di rispetto, di diffidenza e ostilità che si aveva verso «quello» che era arrivato da Roma. Il Partito Comunista in Puglia aveva avuto una tradizione di dirigenti arrivati da Roma e non c’è dubbio che il sentimento prevalente era quello di farla finita. Giacomo non conosceva diffidenza e ostilità. Il rapporto con lui fu immediatamente quello di collaborazione politica e vicinanza umana. Direi che egli mi è stato guida e maestro per capire la politica e la vita di questa città, per conoscere le istituzioni e le trattorie che egli studiava con lo stesso scrupolo e con una straordinaria competenza che riguardava anche la storia dei partiti e delle persone. La nostra è stata un’amicizia vera, profonda e sincera, anche nei lunghi periodi in cui siamo stati distanti. Ho avuto rimpianto per averlo trascurato soprattutto negli anni in cui ero impegnato nelle maggiori responsabilità politiche e istituzionali. In lui non è mai venuta meno di parlare di politica, di criticare, di interloquire, di dire la sua. Certamente so che non sempre ha apprezzato le scelte, che spesso ha saputo vedere gli errori anche prima che gli altri ed io stesso ce ne accorgessimo. Sicuramente Giacomo era molto diverso da me perché non conosceva e non condivideva la durezza nella lotta politica che è un tratto del mio modo di essere. Ma io l’ho sempre sentito vicino con lealtà nell’esprimere la critica ma anche la solidarietà. Negli ultimi anni della sua vita lo faceva, anche per discrezione, telefonando a mia moglie Linda. L’ultima volta, ormai qualche anno fa, le disse: «Ha sbagliato a dare dello stupido a quel giornalista. Queste cose non si fanno, è un errore. Però nella sostanza aveva ragione. Diglielo che ha sbagliato, ma io sono solidale con lui». In questo modo di ragionare c’è tutto Giacomo, la sua intelligenza e la sua umanità.

Vorrei aggiungere un’annotazione personale a questo ricordo che fa capire le ragioni assolutamente speciali del legame che mi ha unito a Giacomo Princigalli. Egli era molto amico di Giusi, la mia compagna che morì tragicamente nel 1984. Soffrì, come molti, per quella tragedia che spezzò la vita a lei ma anche a un altro giovane amico. Però fu lui, dopo il lutto, a venirmi a prendere, direi a pescare, nel pozzo nero del dolore e della solitudine per spingermi con delicatezza ma con fermezza nelle braccia di Linda. Perché gli sembrava giusto, aveva valutato che era la donna per me. Era una forma di amicizia, di interesse autentico verso gli altri e non di intromissione nella loro vita. Sono passati tanti anni; devo riconoscere che aveva ragione e che anche di questo devo essergli grato. Bisogna dire che, nell’incarnare le qualità migliori della sinistra, egli seppe anche interpretare a modo suo l’idea propria del femminismo secondo cui non ci sono barriere tra il privato e la politica. Ed anche per questo è ricordato con tanto affetto da molte persone in questa città. Sono certo che saremo in molti lieti che vi sia un luogo dove poterlo ricordare non solo come uomo delle istituzioni ma come amico. (Massimo D'Alema)

Formica: «Una generazione che seppe credere nel socialismo»

Sei anni fa scomparve il compagno e l’amico Giacomo Princigalli. Per parecchio tempo sono rimasto all’oscuro della sua morte. Ne fui informato dal figlio Giovanni. Mi dissi che questo purtroppo, è il segno conseguente alla distruzione di una comunità che ha perso i legami umani più che i simboli dell’appartenenza. Io  e Giacomo apparteniamo ad una generazione nata durante il fascismo, e che alla fine della guerra, partecipò alla immediata ricostruzione della vita politica e sociale del paese. Giacomo appartiene alla generazione che  aderì alla lotta politica nei terribili anni Cinquanta quando la guerra fredda e la  divisione del mondo in blocchi ideologici imponeva scelte dure e «fondamentaliste» che vide diffondersi il dogmatismo fideistico. Partecipai anch’io a quel processo di lacerazione della sinistra che caratterizzò tutti gli anni Cinquanta. Infatti, nel 1947 avevo seguito Saragat che uscì dal PSI per fondare il PSDI. Ma rientrai nel Partito Socialista per sostenere la battaglia autonomistica di Nenni al Congresso di Milano del 1959.

Nel 1964 vi fu la devastante lacerazione a sinistra del Partito Socialista con la nascita del PSIUP. Giacomo  come tanti altri giovani militanti degli anni di ferro e di fuoco del conflitto tra mondo comunista e alleanza atlantica, aderì al nuovo Partito di Vecchietti e Valori, che rappresentò la tendenza «carrista» e frontista del PSI. Quella scissione fu tragica per la storia del Socialismo italiano. Mentre Nenni portava il Partito in un inedito rapporto con i cattolici al governo del Paese, si spezzava l’onda d’urto del PSI. Quella scissione fu voluta dalla destra DC di Segni e dall’ala filosovietica del Partito Comunista.
La destra Dc voleva ridurre il peso politico del PSI nel governo. Al tempo stesso l’ala del comunismo sovietico volle inserire una spina nel fianco del PCI che con cautela ed ambiguità si andava europeizzando.
La fine del PSIUP fu tragica. La lista che presentò nel 1968 ebbe un relativo successo ma danneggiò l’unificazione socialista.
Nelle elezioni del  1972 il PSIUP non ebbe nessun eletto. Il PCI aveva già provveduto a limare sul territorio i voti del PSIUP. E così il partito di Vecchietti e Valori scomparve assorbito dal PCI.

Giacomo  fu uno delle tante energie di giovani socialisti bruciate da una scellerata politica dogmaticamente filosovietica.
Giacomo  aveva una forte passione caratterizzata da una tendenza idealistica romantica subendo, forse  inconsapevolmente, il condizionamento di un rassegnato fatalismo deterministico, per cui «La causa è bella e quindi vincerà». Il legame tra me e Giacomo, non si fondava solo sulla condivisione degli ideali socialisti, perché era anche di tipo privato e famigliare.
In effetti il ricordo di una di una delle sorelle di Giacomo, ovvero Ada, è molto vivo nella mia famiglia. Mia moglie Delia era sin da giovane sua amica. Non si persero di vista neanche durante il lungo soggiorno di Ada a Pechino nei primi anni Settanta, quando fu inviata dall’ANSA nella capitale cinese. Negli ultimi anni della vita di Ada, mia figlia Letizia la incontrò più volte per condividere le antiche passioni politiche ma anche gli insegnamenti di una vita affascinante d’inviata in Cina.
Sono certo che una rigenerazione dell’intero e multiforme campo di pensiero socialista, nonostante la scomparsa di quella nostra generazione di socialisti, così speranzosi e appassionati di cui Giacomo fece parte, nascerà dalla sconfinata crisi politica che la globalizzazione ci ha imposto. (Rino Formica)

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