il caso
Bari, c’è un progetto per riqualificare corso Italia
E' tutto fermo dal 2017. Ancora nel cassetto i lavori di rifacimento del tratto fra piazza Moro e via Quintino Sella
BARI - La riqualificazione urbana di Corso Italia passa da un progetto che è stato elaborato dalle Ferrovie Appulo Lucane, ma da tre anni è in un cassetto del Comune di Bari. Il rifacimento della basolatura per avere un marciapiedi lungo 360 metri, una pista ciclabile larga 2,5 metri che costeggia la stazione, doppio senso di marcia ma parcheggi solo sul lato opposto alla ferrovia, piantumazione di cento alberi (era a cura di Ikea), nuova illuminazione pubblica e un restyling degli immobili di proprietà delle Fal: nel giugno del 2017, alla presentazione del progetto all’Università di Bari, si immaginava che tutti questi interventi tra piazza Moro e il sottopasso di via Quintino Sella avrebbero finalmente recuperato una porzione importante del centro, iniziato a ricucire il taglio con il Libertà e portato nuovi servizi e funzionalità in una zona logisticamente strategica per la mobilità (interessando auto, autobus, treni e, via ferrovia, anche aeroporto) e il turismo. Ma i lavori, come previsto 6 anni fa, non sono mai iniziati.
Su richiesta dell’Amministrazione cittadina, il progetto da 150mila euro è stato donato dalle Fal al Comune che, intravedendone le potenzialità urbanistiche (dall’allungamento della pista ciclabile oltre il sottopasso per collegare due porzioni urbane separate dal fascio dei binari alla rinascita commerciale della zona), ha chiesto e ottenuto un finanziamento regionale. Da allora però, l’iter realizzativo si è interrotto, con i cittadini che aspettano di capire le ragioni dello stop e i residenti che vedono la desolazione di Corso Italia, una strada sporca, rovinata, dimenticata, che ospita porzioni fragili della società in condizioni di degrado inaccettabili nonostante lo sforzo costante degli operatori sociali. Ci sono i turisti che la percorrono tirando i trolley fra le buche, e i tanti che dopo un film al Galleria si trovano di fronte a un pezzo di città abbandonata. «Più di 50 locali quasi ristrutturati e inutilizzati. Anni fa i soliti render e gli annunci di inaugurazioni mai concretamente arrivate. Le incompiute, pubbliche e private, una risorsa per il futuro della città che vogliamo».
L’avvocato amministrativista e urbanista Beppe Macchione nei giorni scorsi ha scritto un post che ha rapidamente raccolto commenti che si rammaricano del degrado della zona, della crisi che ha svuotato anche via Manzoni, dell’incuria in pieno centro. Il legale, che vive fra Bari e Amsterdam, dove zone simili, ci dice, sono state rilanciate ospitando servizi, artigianato, piccolo commercio, artisti, punti di ristoro e “puntando sull’innovazione sociale”, ci spiega che il suo «non è affatto un j’accuse polemico ma una segnalazione per far nascere un percorso partecipativo». A Bari ci sono «tante persone che vogliono contribuire alle scelte di rigenerazione urbana, che non vogliono arrendersi allo sconforto di vie desolate ma vogliono stimolare un cambiamento: dobbiamo pretendere la bellezza».
Il punto, ci spiega sorpreso dai consensi raccolti con il «post nato solo per attirare l’attenzione sul problema» anche fra magistrati, professori universitari, urbanisti, è «costruire qualcosa di diverso invece di arrendersi a brani di città abbandonati» nell’auspicio di una «condivisione con i cittadini, proprio come auspicato nel percorso che anche le Reti Civiche Urbane del Comune di Bari avevano avviato» come metodo di cittadinanza attiva. «Ma - continua Macchione appellandosi al sindaco - in quest’ultimo scampolo di consiliatura serve un piano organico, una regia di rigenerazione urbana. Occorrono azioni sinergiche che vadano oltre la pur necessaria trasformazione fisica dei luoghi e siano capaci di promuovere una valorizzazione del territorio, di individuare gli usi migliori dei 50 locali delle Fal, di riallacciare il centro al Libertà, anche di essere, ai fini dell’integrazione, uno strumento per valorizzare le tante competenze multietniche che vivono nel Libertà. Magari, anche le tante marginalità presenti su Corso Italia potrebbero essere riassorbite e coinvolte».